Per gestire la rabbia ci vuole la non-identificazione.
Molta della ricerca psicologica contemporanea ha dimostrato che, se si ha la tendenza ad arrabbiarsi per un nonnulla, ciò, col tempo, rende sempre più facile esprimere la propria rabbia: la collera diviene un’abitudine.
Secondo molte persone, abbiamo una certa quantità di rabbia dentro e, se non vogliamo tenerla lì, dobbiamo espellerla: in qualche modo, se è fuori, non sarà più dentro. La rabbia sembra una cosa solida. Ma se osserviamo attentamente, scopriamo che, di fatto, non ha fondamento. In realtà, è semplicemente una risposta condizionata, che nasce e muore.
È fondamentale per noi vedere che, quando ci identifichiamo con tali stati passeggeri come se fossero stabili e come se fossero la nostra vera identità, lasciamo che essi ci controllino e siamo costretti a compiere azioni che causano dolore a noi stessi e agli altri.
La nostra apertura richiede di riposare su una base di non identificazione. Riconoscere nella mente l’avversione o la rabbia come un fatto transitorio è molto differente dall’identificarci con essa, come se fosse la nostra vera natura e dall’agire su di lei.
Tratto da: “L’arte rivoluzionaria della gioia”, di Sharon Salzberg