Shri Siddharameshwar Maharaj: La conoscenza di sé.

L’importanza della conoscenza di sé.

Relativamente facile è abbandonare qualunque fierezza dei propri difetti: nessuno ama ammettere i propri sbagli, ma colui che ha nutrito migliaia di persone, che ha visitato i luoghi santi, creato abitazioni per i pellegrini e pregato dio milioni di volte, è preso da un orgoglio così profondo che gli è quasi impossibile rinunciarvi.

Se si pente, il peccatore trova presto il suo maestro, ma chi ha compiuto atti meritori è ricoperto da tanti elogi che perde il cammino verso il vero maestro.

Un ladro è incatenato da catene di ferro, il re da catene d’oro, ma non è forse anch’egli prigioniero? L’uomo incatenato da catene di ferro, ringrazierà chi lo libera, ma l’uomo con le catene d’oro farà il possibile per conservarle. Perché? Qual è il nemico che lo tiene in schiavitù? La fierezza del fare il bene, degli atti meritori, fa ostacolo alla totale rinuncia all’attaccamento e all’orgoglio.

Il vero ricercatore ha per scopo di annullare il suo orgoglio e l’identificazione al corpo: la rinuncia interiore è quella che poi farà appassire tutti gli altri desideri di beni materiali. Ma la ragione principale dell’orgoglio (della persona e del fare del bene) è che si considera una cosa come vera.

Se si è convinti intellettualmente dell’inutilità e della falsità di un oggetto, la rinuncia, il distacco sono automatici. Finché la futilità di questo mondo non è definitivamente impressa nella mente, la Conoscenza è difficile da raggiungere. Se invece sarà convinto che tutto è solo apparenza, vedrà il mondo come un film, un gioco. Tuttavia, il distacco senza la conoscenza di sé è un’esperienza sterile. Inoltre, per mantenerla, la devozione e l’umiltà sono essenziali.

Finché è dominato dalla paura della morte, l’uomo cercherà in tutti i modi di mantenere ciò che possiede. Anche il più potente dei mortali si accorgerà tuttavia che tutto passa, tutto muore. Quindi dovrà trovare ciò che lo libererà definitivamente dalla paura, il tesoro della “non-paura”.

Come potranno liberare dalla paura gli altri, coloro che non ne sono ancora affrancati? I saggi l’hanno sradicata definitivamente, distruggendo ogni identificazione alla persona e potranno trasmettere questa “non-paura”.

Studdio dei quattro corpi, alla ricerca dell’ “io”.

Cos’è questo Io?

Come l’orefice, modellando l’oro, dà forma a un gioiello, noi vediamo solo il gioiello e non più l’orefice e l’oro.

L’incontro di Brahman e di Maya (l’illusione cosmica) dà luogo ad un usurpatore, l’Io, che si ripete (io, io) e sradica sia Maya che Brahman. Maya non ha esistenza reale, ma cerca sempre di mettersi in mostra, attraverso un figlio che, data la sua inesistenza, non può essere reale neppure lui: è l’Io. In questo modo, accettando la paternità degli atti, si diventa responsabili o… colpevoli. Se lo cerchiamo, ci elude, ma dobbiamo farlo noi stessi. Ogni azione, tuttavia, può essere eseguita senza il senso dell’Io.

Intanto, osserviamo che cos’è un corpo? Un insieme di elementi; braccia, mani, piedi, carne, sangue, ecc. l’Io è uno di questi elementi? Se dico che l’Io è la mano, quando mi sono tagliato, nessuno dirà “Io sono tagliato”, dirà la mia mano si è tagliata, quindi, chi ne è il possessore è diverso dal corpo che afferma essere. L’Io non è nessuno di questi elementi del corpo fisico, ma essi sono tutti “miei”.

Non comprendendo la propria origine, ci s’identifica a un Io che non c’è, che non si trova da nessuna parte, nulla quindi è “mio”: allora, le membra del corpo non mi appartengono neppure quelle.

Data l’evidenza che il corpo non è né Io né mio, a chi appartiene allora?

Vi sono i cinque elementi (terra, aria, acqua, fuoco, spazio o etere) di cui è composto che, alla sua dissoluzione, torneranno allo stato naturale. Tutte le modificazioni del corpo (nascita, gioventù e vecchiaia, stati alterati) appartengono al corpo, ma l’Io ne è assente.

Perché la morte del bel neonato di un vicino ci tocca poco, mentre ci affanniamo a curare e vezzeggiare il nostro, anche brutto e sporco?

Perché non proviamo lo stesso senso di proprietà. Se ci rendiamo conto che il nostro corpo non ci appartiene, ma fa parte dei cinque elementi, diventa la proprietà di “un altro”. Se comprendiamo bene questo, qualunque sia lo stato del corpo, non ci tocca più di tanto.

Non si tratta di buttare il corpo in un pozzo, significa solo capire cos’è in realtà e la rinuncia è solo una questione di discernimento. È la dissoluzione più potente: anche quelle che avvengono durante il sonno profondo, o la morte, sono transitorie. Ciò che non è profondamente integrato riprenderà vita, in un modo o nell’altro.

Se nell’oscurità intravedo un serpente, ho paura, anche se cerco con tutti i mezzi di eliminarla. Come fare allora?

Vi è un solo modo. Osservare meglio, fino a realizzare che il serpente era… di gomma. Allo stesso modo, grazie alla discriminazione e alla dissoluzione tramite il pensiero, l’oggetto diventa insignificante. Malgrado questo, non abbiamo trovato traccia di un Io nel corpo.

Il corpo è un cadavere che non può sentire nulla, se non contiene il corpo sottile o mente.

Osserviamo quindi il corpo sottile o mentale: anche lì l’Io ha messo il suo sigillo: “mio”, ma, pur vantandosi quasi fosse il proprietario, resta introvabile.

Il corpo sottile è un pacco di desideri e il seme della nascita (e morte), ma se questo passa attraverso il fuoco della conoscenza, è distrutto e non germinerà più.

Se si ha una comprensione solo intellettuale, ci si domanderà se è possibile potersi occupare di un lavoro o di una famiglia. Avendo accertato che corpo e mente sono fittizi, si può avere famiglia o altro, senza che l’ego intervenga più. Come una balia che si occupa di un orfanello, lo fa con devozione e amore, pur sapendo che non è suo figlio e non le appartiene. Tutto sarà eseguito come prima, ma senza senso di possesso. Un corpo sano e una mente sana aiutano all’equilibrio nel cammino spirituale, ma senza il pensiero che ci appartengano.

Corpo causale – Non avendo trovato traccia di IO, proseguiamo all’interno e arriviamo a un senso di vuoto: l’ignoranza originaria o l’intervallo tra due pensieri, che è ancora un concetto.

È uno stato simile al sonno, che fa dire soprattutto agli occidentali: ”Non vi è più nulla oltre questo”. Altri, credendo di aver compreso il Brahman, rischiano di rimanere nell’illusione. L’Io ha perso il senso del possesso. Se, invece di fuggire, come fanno tanti, vi abituate a questa oscurità, sentirete una voce interna che dice: ”Sono il testimone di questo vuoto”. Il corpo causale è l’ignoranza da cui sorge il sentimento di essere una creatura mortale.

Tuttavia è dal corpo sopra-causale, o ananda maya kosha, che avviene l’osservazione. Si arriva dunque alla coscienza dell’io-sono, il Brahman onnipresente: la felicità è immensa. Tuttavia, dopo aver riflettuto, anche questo non soddisfa: sono IO che ho creato questo, quindi sono il padre di questo bambino-coscienza, dunque diverso.

Il corpo sopra-causale comincia a declinare, fino a sparire! Si può solo dire “né questo né quello”. Non si può capire, bisogna solo sprofondare nel silenzio profondo.

Come a teatro gli attori spariscono dietro le quinte per riapparire, così la memoria umana sorge da dietro le tende e poi scompare. Lo stato di vuoto è un po’ come quando abbiamo dimenticato qualcosa, rimaniamo nel buio e poi ricompare da “dietro le quinte” e diciamo: ”Mi sono ricordato ”. La maggior parte degli uomini, per uscire da questo vuoto, si affanna a racimolare conoscenze su conoscenze per riempirlo e si allontanano in tal modo dall’essenza della loro vera natura.

Vediamo ora che il corpo sopra-causale risiede anche (invisibile) negli stati condizionati: è il testimone degli altri corpi che da esso provengono e che costituiscono la Grande Illusione (Mahamaya) ed è inconoscibile: è il filo che mantiene tutte le perle della collana e penetra ogni perla (stato di sonno, sogno, veglia).

Quando si giunge alla coscienza-testimone, l’ignoranza scompare totalmente: non significa che il manifesto sparisca, ma è l’atteggiamento del discepolo che cambia. Sperimenterà che tutto è se stesso, pura coscienza. Anche se si vede che il gioiello è solo oro, l’oggetto non svanisce. L’universo rimane, è solo visto come un miraggio. Il discepolo, quindi, vedrà il mondo come illusione, mentre il maestro non vedrà nemmeno più un mondo. L’essere realizzato risiede al di qua del corpo sopra-causale.

Si è detto che il corpo sopra-causale è la soppressione dello stato d’ignoranza o di puro oblio, ma questo stato esiste solo in relazione al corpo fisico e sottile e non ha alcuna esistenza propria: è uno stato immaginario: come annientare uno stato che non è mai esistito?

S’immagina un “testimone”, quando si dimentica la propria vera natura e si vuol vedere qualcosa di diverso, ossia poter oggettivare, conoscere, ma se ne vediamo l’inconsistenza, si rimane nell’Essere della natura dell’Assoluto: né memoria né oblio.

In ogni corpo s’inventa un IO sottilissimo, sovrimpresso alla realtà dell’essere, un po’ come una particella di sale nel latte che è da scartare. Si può quindi dedurre che ogni apparenza percepibile, concettuale, il mondo, sono solo giochi della nostra coscienza.

Dimenticare la propria vera natura è la nascita di Maya (= quello che non è): coscienza e ignoranza sono fratelli gemelli nati da Maya, l’Illusione Primordiale, che nascono e muoiono insieme. Dopo la sparizione del corpo sopracausale, ”quello” che è inerente ai quattro corpi si svela, è il Parabrahman, il non-nato, che mai morirà. Colui che vede la morte dei quattro corpi rimane. È la nostra vera natura.

Per accedere alla vera conoscenza bisogna disapprendere tutto quello che si è imparato. Quello che siete è la percezione diretta, prima di qualunque concetto: se cercate di conoscerla, ve ne separate, non potendo scorgere alcun oggetto la mente parla di vuoto, di nulla, ancora un pensiero.

La pratica, la riflessione costante sono necessarie per non accettare più, come reali, gli oggetti o persone, per rompere le abitudini di attaccamento alle percezioni dei sensi e memorie illusorie, ma nessuna pratica ti darà la conoscenza ultima.

I desideri, gli attaccamenti, le paure, derivano solo da abitudini mentali che mantengono il ricordo di questi oggetti conosciuti e considerati reali e che crediamo ci appartengano. Essi svaniscono se ci convinciamo dell’irrealtà degli oggetti di percezione. Quando la mente non trova più oggetti deve ritirarsi.

Il Sé si può solo diventarlo, anzi, viverlo, come già succede in questo momento, ma lo ignoriamo. Una volta realizzata l’illusorietà di queste percezioni-memorie, si tratta ancora di rinunciare a questa conoscenza, poiché l’ego sottile è presente. Solo quando anche questa parvenza è rimossa per sempre, possiamo rimanere nel Sé.

La Realtà, infatti, non è stata mai creata e quindi nessuno e nulla potrà mai distruggerla. L’illusione rimane finché si mantiene il Dio creatore (forza di vita, coscienza, testimone, agente ultimo ecc.). Se la coscienza di essere svanisce, sparisce lo spazio-tempo, supporti dell’illusione del corpo e del mondo. Le funzioni restano finché vi è vita, ma non siamo più illusi della loro verità.

L’Essere Umano e le caste. 

È tradizione che Krishna, nel Bhagavad gîta, dicesse: “Ho creato quattro generi di caste. Ognuno potrà sperimentarle in sé stesso. Sono Brahman, Kshatriya, Vaishiya e Shudra”.

I quattro corpi sopradescritti si dividono secondo la stessa base. Il corpo sopracausale s’imparenta con il rango di bramano, il corpo causale a quello dei Kshatriya o guerrieri, il corpo sottile a quello dei Vaishiya o mercanti e il corpo fisico ai Shudra o servitori.

Il corpo fisico è pesante, grossolano, lo strumento di lavoro e di servizio. Il corpo sottile è un intelletto abile che valuta, soppesa ed è appannaggio dei mercanti, che usano il corpo fisico come servitore. Nel corpo causale tutto viene distrutto con coraggio, esso inghiotte il mondo intero, ricchezze, desideri ecc. e anche i servitori. Nel corpo sopra-causale gli altri tre sono totalmente ignorati: “non mi posso confondere con nessuno di quei tre corpi, né quello fisico, né intellettuale, né causale-distruttore. Non ho nulla a che fare con quelli”. Ecco come si considera, al di sopra di tutti, il bramano ortodosso, che non tollera di essere toccato.

L’apparizione di una modificazione mentale è “nascita”, il suo declino è “morte”: in un solo giorno nasciamo e moriamo infinite volte.

La differenza tra spazio e coscienza pura è questa: percepire la propria natura come separata, è spazio, mentre abbandonare la percezione-osservazione è segno di coscienza pura. Una volta riconosciuto questo, si potrà discernerla anche se associata a oggetti.

Purtroppo, quanti, che non hanno ancora raggiunto la pura coscienza con l’eliminazione del falso e stabilizzandosi in essa, si mettono a chiacchierare di Dio, “Assoluto che tutto abbraccia, non sono l’Autore, tutto accade “ ecc.: è un vaniloquio da pappagalli, che li illude ancora di più. Molti, tuttavia, si fermano qui, per paura – compagna della dualità, grande ostacolo alla liberazione definitiva – di non avere più oggetti di conoscenza, anche sublimi, da sperimentare. Si tratta invece di impregnarsi profondamente in questa verità. Inoltre la devozione è di grande aiuto.

Ramdas paragonava il ricercatore che non ha raggiunto la meta a un uomo sveglio in un sogno, che crede di essere davvero sveglio, mentre sta ancora russando!

Il corpo fisico è un sogno per il corpo sopracausale, che è, esso stesso, un sogno nella realtà suprema. Nell’ignoranza vi è schiavitù e nella conoscenza liberazione, ma quando entrambe, ignoranza e conoscenza spariscono, come possono esistere idee di schiavitù o di liberazione?

Quando tutto l’ordine fenomenale è annullato, ecco la vostra vera natura. Le parole, qui, diventano un ostacolo. Il maestro vi ha condotto alla soglia e vi ha spinto all’interno, ma mai potrà mostrarvi lo spettacolo, il tesoro di voi stessi.

Tu sei Quello.

Tratto da: “La Clef de la realisation de soi”, di Shri Siddharameshwar Maharaj, maestro di Nisargadatta Maharaj.

Fonte: http://isabelladisoragna.com/articoli/appunti-e-commenti-da-frasi-di-la-clef-de-la-realisation-de-soi/

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