Siddharameshwar Maharaj: La conoscenza è necessaria.

La conoscenza è necessaria per disfarsi dell’ignoranza.

Siddharameshwar Maharaj, maestro di Nisargadatta Maharaj e Ranjit Maharaj, nacque nel 1888 a Pathti, piccolo villaggio del Maharashtra, in India. Qualche tempo dopo la morte del suo maestro, Bhausaheb Maharaj, entrò in meditazione con la ferma risoluzione di non uscirne prima di aver avuto accesso alla piena comprensione.

Rifiutò qualunque potere che gli veniva offerto e smise solo quando, dopo nove mesi, il suo defunto maestro gli apparve in sogno, per confermargli la sua piena realizzazione.

Questi, quando era vivo, gli aveva insegnato la via della costante meditazione, il “sentiero della formica” ed egli, non avendo scelta, l’aveva seguita, anche a costo della sua vita – come soleva dire. Più tardi, per facilitarne la comprensione ad altri, egli iniziò ad insegnare la via diretta o “sentiero dell’uccello”.

Le rinunce, una volta obbligatorie nella pratica, egli le considerò come, spesso, un impedimento che rinforzava l’ego spirituale, invece di dissolverlo. Se tutto è davvero illusorio, in questo mondo, che senso aveva rinunciare a qualcosa che non esisteva?

La rinuncia era, invece, la conseguenza della comprensione. Si trattava dunque di rinunciare alla rinuncia stessa.

“La conoscenza è necessaria per disfarsi dell’ignoranza, ma la realtà che siamo, a nostra insaputa, è molto aldilà di entrambe”. Il suo insegnamento semplice e diretto lo dispensava a chiunque ed insisteva solo sul fatto di avere una fede illimitata nelle parole del maestro (che era alla fine il “guru interiore o il Sè”) e una determinazione infallibile nella pratica.

”La conoscenza spirituale, senza il supporto della devozione, è solo un castello di sabbia. Quando si abbandona la devozione al vero maestro (che è poi il maestro interiore), il divino in noi, la mente inevitabilmente scivola verso i beni materiali, che sono la vera schiavitù. La grazia del guru scende quando si abbandonano tutti i concetti”.

Questo assomiglia all’advaita vedanta, ma egli metteva l’accento sul fatto che l’aspirante era il traguardo stesso della ricerca.

”Parlo solo di voi – diceva – voi siete Quello, sono solo i concetti che lo velano”.

I suoi insegnamenti furono poi raccolti da appunti presi dai suoi allievi. Fece notare che, quando uno di loro integrava una verità, in seguito doveva abbandonarla, poiché era pronto per passare alla successiva. Realizzare che siamo la Coscienza universale o Brahman era solo una tappa, poiché “la Conoscenza è ignoranza, dato che è ancora uno stato, ma voi siete aldilà di tutti gli stati, siete il Parabrahman (prima di Brahman o Coscienza) inconcepibile”.

Il fatto di parlare di inconcepibile, non sperimentabile quindi, non è molto gradevole per la mente, (che è solo un pacco di concetti cementati) quindi molti maestri insegnano solo fino alla tappa della conoscenza universale, illimitata certo, ma che dà sempre un granello da macinare allo spirito del discepolo: è pur sempre “qualcosa di definibile”.

L’osservatore, il testimone persiste – anche se lo si chiama con nomi esaltanti “sat-chit-ananda” (essere-coscienza-beatitudine) – e dà continuità al senso di esistere, che non viene minacciato, ma allargato ad un senso di vastità e pienezza.

La tappa seguente (“aldilà della conoscenza”) confuta ciò che è e ciò che non è, infine, confuta la confutazione stessa! Aldilà della dualità dell’essere e del non-essere, quindi inconcepibile e non insegnabile! Questo lo ripetono i veri maestri, spesso provocando l’esasperazione dei ricercatori.

Siddharameshwar, dopo aver condotto molti discepoli alla comprensione ultima, lasciò il suo corpo nel 1936 all’età di 48 anni, mentre recitava e ballava i bhajans ( rituale devozionale). Ranjit Maharaj, suo discepolo, che si realizzò giovanissimo, pur continuando la sua vita ordinaria di contabile, (solo dopo la morte di Nisargadatta accettò di insegnare nel suo monolocale) soleva dire: ”Nessuno muore, credetemi. I 5 elementi tornano ai 5 elementi e il potere al potere. Che cosa se ne va? Nulla, tranne un nome”. Morì il 15 novembre 2000.

Alcuni estratti dal libro Amrut laya (Abbracciare l’immortalità) pubblicato in francese da Les deux océans. Si tratta del testo Dasbodh, trattato poetico di spiritualità pratica, scritto in marathi da Ramdas nel 17.mo secolo e che Siddharameshwar presentava e commentava ai suoi studenti.

I requisiti per l’aspirante sono:

  • un’aspirazione profonda e ardente
  • la facoltà di discernimento e riflessione
  • la pratica
  • il distacco.

Questo significa che non ci si identifica più a nulla, per poter rimanere in se stessi. Anche l’attaccamento a parenti ed amici è solo sorgente di sofferenza.

CONOSCERE IL SÈ SIGNIFICA DIVENTARLO. Se volete sperimentarlo ve ne separate e vedrete il nulla, lo zero o spazio. (n.d.t. dallo zero come può sorgere “qualcosa”?)

Ogni apparenza è illusoria ed il testimone di questo è il Sé. Ciò che è visto è falso, poiché dovuto alla magia dell’occhio. Come ci si guarda allo specchio e si vedono due figure, il reale ed il suo riflesso, in realtà ve ne è una sola. L’osservatore esiste in quanto considerate gli oggetti percepiti come esistenti. L’ego e l’osservatore sono concetti. Se dici che questa città è Bombay essa apparirà come Bombay, ma se dite che è una distesa di terra, essa apparirà come terra.

Se chiamate questa cosa “sedia” è una sedia, ma se dite che è legno, sarà legno. Se dite tutto è coscienza, allora tutto è divino, ma se lo chiamate mondo, diventerà mondo. Tutti gli oggetti dipendono dai concetti dell’osservatore, mentre il Sé è al di là di qualunque concetto. Nessun concetto può descriverlo.

Qualcuno nomina una donna “figlia”, un altro “madre” o “moglie”. In realtà è un’insieme di ossa, carne, sangue, ma ognuno di voi le dà una consistenza. Tutto dipende dal concetto che ne avete fatto.

Quando il mondo esterno, tangibile, si rivela il prodotto di una percezione illusoria, l’ego scompare. Questa è la pratica da ricordare. Per l’essere realizzato tutto è il Sé: il cibo, la panca, la moglie, l’acqua, ecc.

Vivete come volete, ma rinunciate interiormente. Quando affermate che il tale è morto, significa che solo il nome è scomparso. Ciò che nasce deve morire: se vi togliete dalla mente di essere un “io” particolare, uscite dall’illusione.

La mano si muove, ma voi dite che “io muovo la mano” (n.d.t. in questo la neuroscienza è arrivata alle identiche conclusioni: l’io sorge dopo il gesto o l’azione).

Non è mangiando cibo puro che realizzerete il Sé, ma eliminando l’agitazione mentale. Siete ossessionati dal benessere fisico, come può il Sé penetrare in un corpo già invaso dall’ego? Se continuate a pensare al mondo esterno delle sensazioni è impossibile realizzare la vostra vera natura.

Il Sé rivestito dall’ignoranza del senso di essere o coscienza è ricoperto da un altro strato di illusione: è un sogno dentro ad un sogno. Chi afferma “io sono il Sé” è ancora nel falso. Infatti significa che egli si crede diverso dal Sé. Il vero criterio è quando il Sé non ha il senso di essere. Se voi dite “ho sperimentato” significa che l’ego è ancora presente.

Come parlare del Sé? Non ha forma, è lo stato naturale che si mantiene al di là dei 4 corpi, che sono: il corpo fisico, il sottile, il causale (ignoranza totale) il sopra-causale (la conoscenza “io-sono”). La Realtà è anteriore al Dio creatore o conoscenza, è il Parabrahman, che tutto trascende, immutabile ed inconoscibile, al di là del vuoto e dell’ignoranza. È il quarto stato o non-stato (turyatita).

Colui che trascende per sempre il mondo, sta in pace con sé e con gli altri. Anche quando vi è un movimento nella coscienza egli ritorna nella coscienza corporea, pur sapendo che egli è il Sé e che tutto è il Sé, sempre ben ancorato in questa comprensione.

La vera natura è al di là dell’alienazione e della liberazione, entrambe illusorie, ma, se si resta a livello della coscienza corporea, non vi è alcuna libertà possibile. “Sono libero per un momento e il momento dopo sono alienato”, oppure “Quando sarò libero…” Ecco lo stato di chi non vive il Sé.

Anche chi pretende di essere libero è immerso in un’illusione peggiore: è un coccodrillo! È ancora nella dualità della ricerca e s’infossa ancor più nell’oceano del mondo. Per il saggio, l’idea d’essere libero o alienato è una barzelletta! Quando l’illusione svanisce e i nomi e le forme scompaiono, le parole tacciono.

Le catene esistono per colui che, pur brevemente o inconsapevolmente, s’identifica ancora col corpo. Anche quando si medita sul “testimone silenzioso o coscienza pura” vi è ancora dualità. Se si dimentica anche l’ “io sono”, allora il movimento mentale che dice “io sono, o ego”, sparisce. La sola cosa che resta da fare è vedere tutto quello che ostacola la realizzazione.

Per vivere “Quello”, dobbiamo “esserlo”, senza “saperlo”. Dimenticare tutto è il solo mezzo, anche “io sono il Sé”. Dobbiamo dormire, per conoscere il sonno profondo. L’ “IO” farà di tutto per sopravvivere!

La nostra immaginazione, anche la più sottile, non potrà mai immaginare il Sé. La riflessione invece, se diventa un’abitudine, vi condurrà alla verità. Senza la pratica del discernimento resterete imprigionati nel cerchio dell’ego. Se comprendete che non siete assolutamente né il corpo, né i pensieri, come può il mondo della materia avere un legame con “me”?

Tutta l’energia dell’ignorante è utilizzata solo per rinforzare l’ego (credendo di eliminarlo): ”io sono un cercatore, io sono realizzato”: Ecco come nutrire proprio ciò che volete far sparire con i vostri sforzi.

Il mondo visibile è effimero, irreale e ciò che non è transitorio non può essere visto. L’osservatore, l’osservato e l’osservazione dipendono dalla mente. Non può esserci un’osservazione, senza “qualcuno” che osserva. Ciò che dite o sperimentate si produce a causa della mente. Finché ”voi” ci siete, l’ego sarà là per discriminare, giudicare, denigrare, ecc. I sensi sono gli strumenti dell’azione e quindi dell’ego.

Chi assiste alla morte del proprio ego può affermare, come il devoto poeta Tukaram: ”Ho visto la mia morte con i miei occhi, la gioia che ne è derivata è senza pari.”

Bisogna, soprattutto, lasciar perdere le vecchie abitudini. Quando dite: ”Sono il Sé”, mettete il vostro ego sulle spalle del Sé. Non è con la concentrazione, le formule o le penitenze che capirete questo, ma al contatto con esseri realizzati e, soprattutto, con la devozione al Sé supremo, non a un dio o a un santo protettore!

Non serviranno gli studi delle Scritture, né le buone azioni, né i pellegrinaggi per esaudire tacitamente un desiderio mondano. Non servono i digiuni. Il saggio mangia e, suo malgrado, digiuna. Non ci dovrà essere nemmeno il sentimento di “essere tutto e niente”. Non vi è il mondo da una parte e il Sé dall’altra. L’illusione appare su e a partire dal Sé, ma, non appena si avvicina al Sé, scompare definitivamente.

L’illusione appare sul Sé, come un riflesso sullo specchio, ma non è in esso. (n.d.t. L’illusione significa che qualcosa appare soltanto, quindi non esiste). Se disponete cento secchi pieni d’acqua sul terrazzo al sole vi saranno cento riflessi, ma significa forse che vi sono cento soli?

Ci si domanda come la realtà, che è senza forma, possa contenere l’illusione, che si esprime come forma: è solo quando vi sveglierete dal sogno che capirete come il sogno, apparentemente solido, non è mai esistito.

Noi crediamo che vi sia qualcosa, quando in realtà è solo il frutto dell’immaginazione e non vi è nulla. Il mondo appare quando avvengono i concetti e non dura più di quelli. Il concetto è la causa, il mondo è l’effetto. (n.d.t. l’immagine più moderna è il paragone con l’ologramma).

Trascendendo tutti gli stati, i cinque elementi e la vacuità, (ancora concetti), sparisce anche l’ “io sono” e rimane la realtà, senza alcun concetto, la nostra vera natura. È come una donna che partorisce una finzione. Il Sé supremo non sarà mai toccato dalle apparenze di nascite e morti. È reale come il nostro viso riflesso nello specchio o di mille specchi.

Le immagini sono forse reali? Anche i Veda dicono: “Tutto ciò che è percettibile è effimero, un gioco e un’elucubrazione della mente”. È l’implicazione della mente nel mondo che crea lo stato d’ignoranza. Tutto quello che fate nel mondo fa parte dell’illusione ed anche se la conoscenza distrugge l’ignoranza, rimane anch’essa un’illusione.

Felicità e dolore fanno parte dell’illusione dualista: non vi è dunque nulla da cambiare. Il non-agire non significa rinunciare ad un’azione esteriore, anche quella di diventare un santo, o di diventare ricco e in buona salute: significa non considerarsi un corpo e lasciare che avvengano le cose. Intervenire, per cambiare le situazioni, vuol dire accrescere l’ego.

Se dirigete la mente verso il Sé, questa si identificherà a Lui, allora non ridiscenderete a livello del vostro corpo. Siate nel corpo come un invitato in casa altrui. Se siete il re, perché mettervi a pulire le strade? Sbarazzatevi dal credere che gli oggetti esterni siano reali. Sono convenzioni.

Ho creduto a mille ruoli, che ho recitato credendo di essere ognuno di essi, ma ogni forma è solo apparsa sul Sé senza forma. Una volta ben compreso quello che siete veramente, agite sempre di conseguenza. Alcuni si sono risvegliati, ma sono poi ricaduti nella confusione, per mancanza di vigilanza.

Se vi insultano, insultano il corpo, non voi. Risalite alla sorgente della collera. Senza un distacco totale non potrete liberarvi dalle passioni. Gli ipocriti, che ammassano milioni ingannando gli altri con i discorsi sulla conoscenza del Sé, non vanno certo nel senso del naturale distacco di chi è veramente realizzato.

“Astinenza” non significa rinuncia dolorosa, ma non più essere attaccato ai sensi. Comportarsi con generosità nel quotidiano temporale-mondano, significa dare spazio, lasciar gli altri liberi di avere punti di vista diversi: voler imporre il proprio, indica tendenza all’intransigenza e alla censura. Non occupatevi degli affari degli altri, poiché si rischia di non vedere la loro essenza profonda (che siete anche voi).

Osserviamo ora le caratteristiche dell’ego. Dire “sono il corpo o questo è mio” significa creare impedimenti o catene all’essere, nella sua autenticità. Al contrario, essere convinti che “non sono il corpo, nulla mi appartiene, poiché non esisto”, è liberazione.

Vi sono quattro corpi, o veli, che ricoprono la realtà. Si riferiscono all’individuo, ma anche all’universo che lo circonda.

Il primo corpo è il corpo fisico, o grossolano. Il secondo, il corpo sottile, che include la mente, i sensi, l’intelletto, il sogno notturno, ecc. il terzo è il corpo causale, o ignoranza, il quarto è il sopra-causale, o sorgente della conoscenza. Rispetto all’universo, vi è il corpo cosmico fisico, il corpo sottile, il non manifestato ed infine la sorgente della conoscenza o illusione primordiale (mula maya) o Dio.

Si tratta di disidentificarsi da ciascuno di questo corpi. Dopo essersi definitivamente disidentificati dai primi tre corpi, si arriva al sopra-causale, o turya, alla coscienza di essere o “io”, sotto forma di “sat-chit-ananda” (essere-coscienza-beatitudine): un senso di unità senza limiti pervade l’individuo.

La mente è all’origine dell’alienazione, ma anche della liberazione. Il corpo sottile si trova tra Dio, o sat-chit-ananda e, dall’altra, i sensi grossolani ed i cinque elementi. A causa della pesantezza dell’intelletto nello stato di veglia, voi credete alla realtà di questo mondo! Se riusciste, almeno una volta, ma con una profonda convinzione, ad affermare “io non esisto”, potrete intuire la realizzazione.

Quindi, anche l’ego sottile, che si identifica a Dio (n.d.t. immersione devozionale nel divino) è da abbandonare. L’ “io sono” o quarto velo, che dà vita al corpo – che senza di esso sarebbe un cadavere  – deve essere trasceso: al di là dell’ “io sono” o testimone, si trova la realtà finale, ove non c’è né alienazione, né liberazione.

Il Sé supremo si trova al di là di qualsiasi “stato”.

Vi è stato detto che siete la “Coscienza” o Conoscenza, perché voi possiate capire correttamente, ma se lo affermate, siete ancora nell’ego, sottile certamente, ma che dovete abbandonare senz’altro. Qualsiasi affermazione, da quella di “sono un uomo” fino a “sono il Sé o sono risvegliato” sono illusioni. Il Sé supremo è al di là della conoscenza e dell’ignoranza.

Praticate quindi l‘introspezione, per negare qualsiasi concetto e identificazione: anche il Dio creatore si rivela un nulla, poiché è solo immaginario. Ciò che resta è la realizzazione senza concetti, (neti neti) il Sé supremo (non identificabile). Se vi è un “io sono” vi è automaticamente anche un “tu sei”, quindi dualità.

La natura della dualità è quella di dimenticare il Sé e di focalizzarsi sui cinque elementi e sugli oggetti esterni. La natura dell’illusione è tale che essa cerca sempre di conoscere ciò che succede e di dimenticare ciò che precede tutto questo. L’oblio e la conoscenza vanno mano nella mano: in tal modo, non appena si dimentica il Sé profondo, sorge lo spazio.

Nel Sé, non essendoci né tempo né luogo, nulla può essere percepito, ossia non vi è possibilità di percepire oggetti. Non appena sorge la percezione, si creano i concetti di spazio-tempo e, quindi, gli oggetti ad essi legati ( solo grazie a quelle dimensioni).

All’origine della creazione, tre cose furono create: lo spazio, il tempo e la materia. Così si è manifestato il mondo. Apparve al momento in cui l’avete percepito, ma in realtà nulla è successo.

Non vi è rinascita per colui che comprende che il mondo è la sua creazione mentale. La mente è fatta solo di pensieri, parole e, quando riposa silenzioso, tutti i sogni, i dubbi, i pensieri, svaniscono. Resta il nulla, ma anche quel nulla, quel vuoto – ancora un concetto – deve essere sorpassato. Rimane solo “colui che ha tutto trasceso”. Infine, anche quell’ “io testimone” deve essere abbandonato, per realizzare e vivere ciò che è oltre la conoscenza e l’ignoranza.

È un’illusione dire “io”, “tu” , Dio o démone… anche la preghiera è un’illusione. Il vero asceta ha la mente libera da qualunque concetto, quelli legati al bene o al male, poiché hanno perso significato per lui.

L’esperienza effettiva della verità ultima è la prova finale: se la cercate solo per mezzo della logica, del ragionamento o con rituali, sacrifici corporei ed esperienze spirituali, sarete delusi. Anche se arrivate alla soglia ultima della Coscienza pura, se una punta di orgoglio si infiltra in essa, ricadrete nell’ignoranza.

Gli oggetti che hanno un nome ed una forma sono effimeri, non hanno esistenza propria ed esistono solo grazie all’abitudine di nominarli. Che uno sia re o fachiro dagli immensi poteri mentali, o abbia raggiunto il divino, dovrà morire. La realtà invece non è mai stata creata, quindi nulla potrà distruggerla.

Osservate l’esperienza del sonno. Lì la percezione di vostra moglie o marito sparisce, poiché esistono solo quando li percepite. Nel sogno la coscienza proietta un altro mondo. Quando lo spazio e gli oggetti sono creati nel sogno, esiste davvero uno spazio? No. È la coscienza che crea questo spazio: essa è il supporto di un mondo intero e di altri mondi. Allora, perché non creare un altro mondo in questo stesso mondo?

Finché credete di essere un corpo limitato, non avete nessun potere, mentre, in realtà, tutto quello che pensate o avete pensato può prodursi. Al risveglio tutto si dissolve. Tuttavia il potere fa parte ancora dell’illusione. Senza coscienza non vi è mondo. Il saggio è libero dai concetti “io sono” e “io non sono”, da non confondere con l’oblio.

Tutto quello che si può ricordare non è quello che siamo, cioè il Sé. Il Sé, essendo al di là di qualunque pensiero e sensazione, non ha bisogno di essere ricordato, è sempre presente e al di là di ogni congettura o attesa.

Per arrivare alla resa della mente è bene osservare, passivamente, le fluttuazioni e i meandri dei pensieri ed esserne testimoni. I pensieri moriranno naturalmente.

Rifiuterete tranquillamente ogni idea che possa riferirsi al corpo, per eliminare il senso di isolamento che spinge la mente a cercare illusorie soddisfazioni. La paura resterà finché vi identificherete a qualcosa che non siete mai stato!

La mente è un aggregato di memorie. Quando le abbandonerete, l’una dopo l’altra, le memorie che vi legano alla matassa di ricordi ripetitivi, questo sparirà. Il meccanismo dei desideri è legato al ricordo degli oggetti conosciuti, alimentato dalla speranza di gioirne ancora, o di evitare il dolore.

La mente non sarà mai vinta senza il discernimento e la riflessione. Cercare qualcosa di diverso dal Sé conduce alla dualità. La determinazione e la devozione sono il miglior modo di giungere alla méta.

A volte il maestro cerca di disorientare il discepolo con delle contraddizioni (come i koans zen): percepire un oggetto e definirlo logicamente fa parte della natura della mente da scardinare.

Il culmine è rimanere fissi nello stato naturale. La meditazione e la pratica vengono dopo. I pellegrinaggi sono lo stadio più basso.

Quando dite che questo corpo vi appartiene, significa che non siete il corpo: disidentificatevi, dicendo spesso: ”non sono il corpo”. Come il bambino crede all’esistenza di mostri immaginari, l’uomo ordinario crede alla produzioni mentali, quindi sbarazzatevi dalla vostra abitudine passiva di immagazzinare informazioni! Disimparate tutto ciò che avete appreso.

Il Sé non può essere realizzato con la pratica, ma la pratica resta indispensabile per rompere le abitudini mentali. L’ignoranza (corpo causale) e la conoscenza mescolata all’ignoranza (corpo sottile) sono l’origine dei cinque elementi che creano questo mondo di sogno. Malgrado l’apparenza di autenticità, le esperienze generate nel mondo sono totalmente false. Come fantasmi che ci invadono. Creiamo una miriade di nomi e di forme, dimenticando la loro essenza. Quando i fiori sono intessuti insieme ad un filo si dà loro un nuovo nome: ghirlanda!

Non sapere chi siete significa che la vostra esistenza non ha nessun valore, siete solo il risultato del passatempo piacevole dei vostri genitori! I sogni sono il riflesso della vostra mente e così, nello stato di veglia, vedete solo ciò che volete (o potete) vedere. Perché questa città si chiama Bombay? Semplicemente perché avete deciso quel nome. Lo stesso dicasi per “corpo”, a cui vi identificate al punto che, senza di lui, vi sentite una nullità: così, sul punto di morte, ne cercate subito un altro!

La vostra esistenza nel mondo è solo una ripetizione di memorie vissute al momento della nascita o del concepimento. (n.d.t. Stan Grof ha realizzato praticamente che questo è vero, con migliaia di esperimenti di nascite rivissute) Il vostro nome non esisteva prima della vostra nascita e sparirà dopo la morte: in India, dopo qualche giorno dall’incinerazione, il nome viene dimenticato.

Invece di ricordarvi che siete solo il Sé che vi ha sempre accompagnato, pensate solo a quel nome imposto. Non avete una sola prova della vostra esistenza, (tranne un pensiero), allora cercate di non preoccuparvi di cose così inutili come la nascita e la morte: una persona che non esiste, non è nata e non morirà mai.

Chi è questo “io” che cerca rifugio, cibo, famiglia, siete voi o il corpo? “Cos’è questo “io”?” “Chi ha compiuto questo gesto? La mano. Sono la mano?” In seguito, si tratta di mettere in pratica le vostre conclusioni, ma ogni volta che volete “conoscere” o dite di “sapere“ che cos’è il Sé, ve ne allontanate.

Nemmeno il silenzio può descriverlo, nemmeno il sonno profondo, che è ancora un concetto. Il concetto di assenza di pensiero è ancora un pensiero. È uno stato senza stato. Inconcepibile. Solo il vero maestro realizzato vi libera dai concetti e dai legami illusori, i vostri cari, invece, stringono la morsa che vi incolla alle cose del mondo irreale: la paura vi attanaglia quando credete di perdere parenti o possessi.

Nello stato naturale cessa ogni paura. Il saggio vive spontaneamente e in perfetto accordo, sempre, con quanto afferma. Lo stato in cui si sperimenta ”non sono il corpo” equivale alla morte. Il risvegliato è distaccato dai quattro corpi, ed è morto ben prima della morte del corpo: così, l’essere fuori dal tempo nasce ed è nato uccidendo la morte.

La fase del sat-chit-ananda o Coscienza pura fa ancora parte dell’ego: è come la luna crescente che brilla fulgida nel cielo. Nella fase finale il maestro aiuta ad immergervi nella realtà finale: questa è comparabile alla metà oscura della luna. C’è oscurità totale, poi l’oscurità si dissipa e siete nello stato senza stato del Sé. Lì la meditazione non serve più.

Ma, prima di questo, essa è indispensabile per sciogliere le memorie e le associazioni mentali. Molti smettono di meditare, credendo di “essere arrivati” solo con la comprensione intellettuale e perché trovano la pratica fastidiosa.

Non è perché ci cospargiamo il capo di cenere, o altri segni esteriori, che possiamo sentirci realizzati, anche un macellaio che continua il suo mestiere può essere realizzato, senza che nessuno se ne accorga.

Mettete costantemente in pratica quanto detto qui, meditate, rileggete una frase di un saggio realizzato, impregnatevene, scartando tutto ciò che non serve, coltivando un desiderio ardente.

Il tempo non esiste, non preoccupatevi.

Isabella di Soragna

Fonte: http://isabelladisoragna.com/traduzioni/siddharameshwar-maharaj/

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