Stephen Levine: Chi muore?

Chi muore?

Quando vediamo la radice di ogni esperienza, c’è posto sia per la tristezza e il dolore, sia per la gioia. Per la tristezza è più difficile e cerchiamo di sopprimerla.

Tutti abbiamo conosciuto un lutto e portiamo il segno di vecchie cicatrici, poiché viviamo in un mondo di eterno cambiamento, nessun terreno stabile, con desideri che ci tormentano se non esauditi. La sofferenza nasce dall’attaccamento a cose e persone legate al tempo, dal tentativo di impedire che le cose siano come sono, di fermare il cambiamento.

Anche quelli che hanno fatto della verità una priorità rischiano di provare il dolore di un lutto o di qualcosa che li privi di quel contatto del loro cuore… con loro stessi. Potremo però scoprire quanto abbiamo cercato di proteggere la nostra vita e ristretto la gabbia per sentirci al sicuro.

Invece, tutto ciò che inizia ha una fine: anche il nostro respiro è un costante penetrare e poi un uscire di… aria, dal primo momento della nascita a quello finale della morte.

Tuttavia, possiamo vedere che tra un inizio e una fine c’è uno spazio da cui nascono le forme passeggere: se ci fermiamo lì, in quello spazio, calmo, testimone di tutto, senza attaccamenti, possiamo vedere oltre il movimento incessante dei pensieri illusori, con un senso di equilibrio, non-attaccamento e di spontanea compassione. Da lì possiamo osservare il movimento della mente incostante.

Un giorno qualcuno domandò a un maestro di meditazione tailandese: “In questo mondo, dove tutto è incostante, ove lutti e afflizioni sono inerenti alla nostra nascita sulla terra, come intravedere un po’ di felicità o di sicurezza?”

Il maestro prese un bicchiere di cristallo accanto a lui e disse: “Per me, questo bicchiere è già rotto. L’apprezzo, mi serve, bevo l’acqua che contiene e a volte riflette la luce del sole; se lo colpisco leggermente emette un tintinnio piacevole. Ma se il vento lo fa cadere dallo scaffale, ove l’avevo posato, o gli do maldestramente una gomitata, cade a terra e si rompe, allora dico: Certo. È così.

Se ho realizzato che questo bicchiere è già rotto, ogni istante in cui mi serve è prezioso. Ogni momento è quello che è, senza alcun bisogno che sia altrimenti”.

Se realizziamo che il nostro corpo è già rotto, come il bicchiere, che siamo quindi già morti, la vita diventa preziosa, ci apriamo ad essa com’è, momento dopo momento.

Quante morti sono già avvenute nella nostra famiglia? Se viviamo la nostra vita come se fossimo già morti, questa prende un altro significato: le nostre priorità cambiano, ci rendiamo conto della transitorietà di tutto e una sola cosa conta: lasciamo spazio all’amore.

Come può la paura, il bisogno di controllo, farci ancora soffrire? E ogni esperienza, foss’anche la morte di una persona molto cara, si presenta come una possibilità di risveglio.

Se la nostra unica pratica spirituale fosse di vivere come se fossimo già morti, come se fossero i nostri ultimi istanti, cosa diventerebbero i nostri vecchi scenari, le nostre bugie e false apparenze e i nostri miraggi antichi?

Solo l’amore senza limiti sarebbe appropriato.

Tratto da :” Qui meurt?”, di Stephen Levine

Fonte: http://www.isabelladisoragna.com/

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