Vimala Thakar: La sfida dei nostri tempi.

La sfida dei nostri tempi.

I tempi sembrano quindi maturi per capire la cruciale necessità di percepire la vita come un tutto indivisibile, senza più frammentarla, dividerla o creare modelli di comportamento diversi per l’individuo e la collettività. Vedere la vita come un tutto indivisibile, scoprire come viverla nella sua totalità, in modo salutare e scientifico, con la pace nel cuore e la pace nei rapporti.

Questa sembra essere la sfida dei nostri tempi, per questo ho accennato alla necessità di una rivoluzione totale. Niente di meno di una rivoluzione totale può soddisfare realmente la fame dell’umanità, la fame del corpo, ma anche quella del cuore. Per questo la rivoluzione deve essere totale.

I rapporti collettivi sono estensioni e, in certa misura, proiezioni di ciò che siamo all’interno. L’interiorità di una persona si riflette nei suoi rapporti, anche se non ne è consapevole. Qualunque sia il modello sociale, economico o politico, i rapporti tra le persone sono determinati dalla qualità della mente di ogni persona.

La rivoluzione non riguarda esclusivamente la vita interiore dell’individuo, oppure esclusivamente la vita sociale, economica e politica di un popolo nella sua manifestazione esteriore. Usiamo queste parole, ma sono solo un termine di comodo: interno ed esterno sono complementari. Se vogliamo una rivoluzione che riguarda solo l’interiorità, la dimensione psichica o psicologica, ignorando l’esterno, cioè l’aspetto sociale, economico e politico, ci isoliamo dalla corrente della vita, creando solo delle evasioni, forse tutta una rete di evasione, che ci fanno stare comodi.

E’ già successo in Oriente. Chi cercava la trasformazione della psiche si ritirava dalla vita, si chiudeva in un monastero o in un ashram, si immergeva in profondità nei suoi pensieri, sentimenti, emozioni e riflessi automatici e tentava di trasformarli. Se la mente lo ascoltava, se veniva persuasa ad abbandonare i vecchi modelli benissimo; ma, se non si lasciava persuadere, le si faceva violenza in nome dell’ascetismo e della disciplina.

Che cosa importa se si mutila la mente? In fondo lo si fa in nome della repressione delle pulsioni e dei desideri. In nome della verità, gli esseri umani hanno fatto violenza al proprio corpo e alla propria mente. Hanno represso e soppresso, hanno usato la dittatura delle idee, delle teorie, dei modelli e dei valori e così è nato il culto di queste persone, di monaci e di samnyasin che formano una classe privilegiata.

Ritirarsi dalla vita significa rinunciare alle responsabilità sociali, alle responsabilità civili. Questo tentativo è stato fatto, ma non funziona.

Potrei parlare a lungo di come l’Oriente ha sofferto a causa di questa frammentazione e dei suoi effetti sulla vita delle masse, ma è sufficiente dire che questa frammentazione della vita in interiore ed esteriore, la divisione tra individuale e collettivo, l’idea che un individuo sia totalmente indipendente dagli altri sono un fertile terreno da cui nascono dolore e sofferenza.

In Occidente, al contrario, ci si è focalizzati di più sull’esterno, alla continua ricerca di miglioramenti materiali e psicologi per innalzare il livello di vita, agendo sull’aspetto sociale, economico e politico, sia nei cosiddetti paesi liberi e democratici, sia nei paesi comunisti. Tutta l’attenzione e l’energia sono state concentrate all’esterno. Eppure, nei paesi comunisti e non comunisti, gli uomini non sono in pace con se stessi né con gli altri.

Possiamo avere le idee migliori, le teorie migliori e le migliori ideologie, ma se dentro di noi abbiamo ambizione, invidia, gelosia, avidità e rabbia, il nostro comportamento sarà guidato da questi fattori. Le spinte immagazzinate nel subconscio si impadroniscono della coscienza superficiale, fanno piazza pulita di qualunque ideologia, distorcono le percezioni e producono delle pulsioni psicologiche che costringono l’individuo a comportarsi in un determinato modo.

Ritengo quindi che si debba iniziare dall’attuale situazione della psiche umana e scoprire com’è possibile agire sulla totalità, scoprire se è possibile trascendere questi contenuti psichici che attualmente dominano la nostra vita o se siamo condannati a esserne prigionieri.

Che cosa si intende con la parola “psiche”? Per comodità di comunicazione verbale e di studio, la coscienza umana è stata divisa in conscio, subconscio e inconscio, ma nella coscienza non ci sono compartimenti stagni indipendenti l’uno dall’altro; sono piuttosto strati di un tutto indivisibile.

L’analisi della coscienza suddivisa in conscio, subconscio e inconscio non significa assolutamente che la totalità della coscienza si esaurisca in questi tre strati. Può darsi che ci sia un’area della coscienza che non è stata ancora esplorata e che quella parte della coscienza in base a cui funzioniamo possa essere una piccola parte della coscienza totale.

La vita e la consapevolezza possono contenere molte più cose dei tre livelli che, sino a oggi, abbiamo esplorato e descritto. Quindi, quando diciamo “psiche” o “coscienza umana” sottintendiamo il conscio, il subconscio e l’inconscio. Non è così che facciamo?

La coscienza superficiale, o mente conscia, è la parte che viene coltivata. I genitori, la scuola, la società ci insegnano a coltivarla ed è la parte che sviluppiamo e arricchiamo fin dall’infanzia. Sappiamo come acquisire informazioni attraverso i sensi, conservarle nella memoria e usarle quando occorre. La coscienza superficiale contiene quindi tutte le esperienze e le informazioni raccolte dall’individuo.

Più in profondità, nel subconscio, troviamo le esperienze, la conoscenza e le memorie della nostra famiglia e della comunità in cui siamo nati, del nostro gruppo etnico, della nostra religione e della nostra nazione. Tutte queste esperienze sono immagazzinate nel subconscio.

A livello ancora più profondo, nell’inconscio, ci sono le esperienze dell’umanità nella sua globalità. Queste esperienze, queste visioni e questi segnali non emergono alla coscienza superficiale che non vi ha accesso e non può comprenderli, per il semplice fatto che la mente conscia non ha la capacità di analizzare la totalità delle esperienze umane.

Un induista può ricevere segnali interpretabili attraverso una mente e una terminologia induista, ma se riceve dei contenuti dall’inconscio che non hanno nulla a che fare con la sua religione o la sua etnia e che appartengono, ad esempio, all’etnia mongola o a una popolazione del Sudamerica, dirà: “Non capisco. Ricevo qualcosa, ma non so cosa sia”. Inoltre ci sono visioni ed esperienze che non sono comunicabili in nessun linguaggio umano.

Il contenuto della coscienza su cui basiamo il nostro modo di vivere è costituito quindi dalle nostre esperienze e dalle informazioni che ne ricaviamo, interpretandole attraverso i nostri condizionamenti e i ricordi immagazzinati nel subconscio e in base a tutto questo reagiamo. Ci consideriamo esseri razionali, ma c’è davvero poca armonia tra ragione e sentimento.

Ora consideriamo un altro aspetto della mente. Nel corso dei secoli l’essere umano ha sviluppato quelli che chiamiamo il cervello e la memoria: ha raffinato l’intelletto, la sensibilità emotiva e ha usato al meglio le capacità della mente conscia, subconscia e inconscia. L’essere umano ha la capacità di creare simboli e di comunicare e, in questo modo, ha creato il linguaggio, la pittura, la musica e la scultura e ha usato tutto questo per comunicare.

Inoltre, ha la capacità di essere cosciente di se stesso, sa di sapere. Quando agisce, sa simultaneamente perché sta agendo in quel modo, riconosce le motivazioni dietro le sue azioni e conosce le radici di queste motivazioni. Se vuole essere presente e autocosciente, può farlo.

Dove ci ha portato questa capacità, sviluppata nei secoli passati, di essere autocoscienti e di creare simboli? Ci ha portato a un punto di saturazione.

Abbiamo utilizzato la coscienza umana, l’attività cerebrale e siamo arrivati a un punto in cui non ci dà più pace e felicità. Vi prego di non prenderla come un’affermazione dogmatica. Attraverso l’uso delle sue capacità, l’essere umano è arrivato a un punto in cui vede con chiarezza che tutti i movimenti della struttura psicologica sono posseduti e guidati dall’io.

La coscienza “io” si è installata al centro, usa le informazioni e le esperienze acquisite per creare dei meccanismi di difesa, si identifica con quelle esperienze, cerca di impossessarsene e di imporle agli altri. Questo è il funzionamento della coscienza “io”.

In una persona che ha scarse conoscenze e pochissime esperienze, l’io è legato a una corda molto corta; se invece essa dispone di un’ampia gamma di esperienze, l’io è legato a una corda più lunga che le permette una maggiore ampiezza di movimento. In ogni caso il contenuto della sua coscienza (le conoscenze e le esperienze) è il limite della sua struttura.

La mente si muove dal centro alla periferia e dalla periferia al centro, non può fare altro. Inoltre, si muove sempre con una motivazione, con una direzione, allo scopo di ricavare qualcosa dall’esperienza, che si tratti di cercare il piacere o di evitare il dolore. Ormai l’essere umano ha visto con grande chiarezza queste limitazioni alla sua attività.

In secondo luogo, oggi sappiamo che tutte le informazioni e le esperienze che acquisiamo si trasformano in elementi chimici che vengono immagazzinati nelle cellule del cervello e che rispondiamo alle situazioni e alle sfide in base a questi condizionamenti cerebrali.

Nessun pensiero è originale, nessuna emozione è una “mia” emozione personale, ma è il prodotto di secoli di reazioni umane collettive. Sensazioni, pensieri, modelli di comportamento sono stati inseriti nel mio cervello, come in un cervello artificiale e io reagisco meccanicamente. Scopriamo quindi che l’attività mentale è un’attività meccanica.

Benché la mente sia un meraviglioso e complesso strumento a nostra disposizione, è comunque una macchina, niente di più e niente di meno. La mente ha la sua utilità e la sua importanza, ma è una macchina che riceve impressioni attraverso i sensi; il sistema nervoso le trasmette al cervello e il cervello le interpreta in base ai condizionamenti ricevuti.

Se non fosse così, perché la parola “Dio” evoca determinati concetti e sentimenti in una persona cresciuta in una famiglia cattolica o induista e tutt’altri in una cresciuta in una famiglia o in un Paese comunisti?

Le associazioni di idee e le emozioni immesse in questi due tipi di cervello, quello di una persona educata in un contesto religioso e di un’altra persona educata in un contesto ateo, sono completamente diverse e quindi le loro reazioni saranno diametralmente opposte.

Ma, che crediamo o non crediamo in Dio, la qualità della mente è la stessa. Credere o non credere in Dio sono le due facce dello stesso processo, Dire: “Non credo in Dio” non è affatto un atto di coraggio personale.

Quando capiamo che tutte le attività della mente sono attività meccaniche, lo splendore e il fascino dei pensieri organizzati in idee, ideologie, valori e conclusioni scompaiono all’istante. Non proviamo più nessun piacere a identificarci con una ideologia o nell’opporci a un’altra, vediamo la futilità di indulgere nell’attività meccanica del pensiero.

Attualmente, i nostri rapporti si basano sull’identificazione con i pensieri e le emozioni. Dico di essere in rapporto con voi, ma non faccio altro che giudicarvi in base alle mie preferenze e alle mie avversioni, alle mie opinioni e ai miei pregiudizi. Vi giudico su questa base e su questa stessa base reagisco. Reagiamo in dipendenza dei modelli mentali, emotivi e reattivi che abbiamo assorbito. Sono questi modelli che entrano reciprocamente in relazione e non gli esseri umani.

Non appena vi guardo, dentro di me si mettono in moto tutte le mie preferenze, le mie avversioni, le mie opinioni e i miei pregiudizi. Non passano dieci minuti che vi ho appiccicato un’etichetta: “E’una bella persona, una brutta persona, è colta, è rozza, è morale, è immorale”, e quindi “Mi piace” o “non mi piace”. Giudichiamo una persona, che è un essere umano totale, dai suoi atteggiamenti esteriori e questo giudizio determina le nostre reazioni.

Tutti i comportamenti derivano dal giudizio e dall’immagine che ci siamo fatti degli altri. Non sono le persone a entrare in rapporto, sono le immagini, Se c’è frizione tra le due immagini, diciamo che il rapporto si è rotto. In realtà non si è rotto nessun rapporto, perché non c’è mai stato.

Può sembrare strano, ma questi fabbricanti di immagini, il signor Io e la signora Vanità, sono continuamente attivi nella nostra coscienza. E’ una continua creazione di immagini. Ma se siamo perennemente impegnati a creare immagini e a giudicare gli altri, non possiamo vivere totalmente nessun momento.

Viviamo i momenti della vita a metà, agiamo a metà e incontriamo gli altri a metà. Poi, queste esperienze frammentarie vengono trasmesse dalla mente conscia alla mente subconscia e diventano un carico opprimente.

Se viviamo totalmente, se facciamo un’esperienza totalmente, l’esperienza non lascia la minima traccia nella memoria. L’abbiamo vissuta e ora è conclusa. Se è stata un’esperienza piacevole, ce la siamo goduta e fine della storia. Il pensiero non le dà continuità dicendo: “E’ stata un’esperienza bellissima! Devo trovare il modo di ripeterla”.

La parte acquisitiva dell’io non è più in funzione, ma se lasciate che intervenga questa deviazione (godere dell’esperienza piacevole e nello stesso tempo pensare: “Devo ripeterla”) siete separati dall’esperienza, non ve la godete fino in fondo, la vivete solo a metà. L’altra metà scende nel subconscio e, riempiendolo giorno e notte con questi frammenti di esperienza, lo rendiamo sempre più pesante. Allora non deve stupirci se la notte non riusciamo a dormire, perché questi frammenti vengono a galla sotto forma di sogni e impulsi.

Ah, se gli esseri umani imparassero la meravigliosa arte di vivere! Se imparassero ad attraversare tutte le esperienze senza che nessuna di esse, piacevole o sgradevole, scalfisca minimamente la coscienza!

Sì, ogni ricordo è un graffio sulla coscienza. La coscienza viene mutilata ed è questa coscienza sanguinante che ci portiamo appresso, con segni e cicatrici di esperienze piacevoli e dolorose, sotto forma di ricordi. Per chissà quanti secoli gli esseri umani hanno portato questo peso, ma ora è il momento di gettarlo via.

Se vogliamo veri rapporti tra gli esseri umani, se vogliamo imparare l’arte di essere in relazione con i nostri simili, dobbiamo liberarci della prigione che l’io si è costruito. Dobbiamo uscire dal circolo vizioso della reazione basata sulla memoria.

A mio parere, questo è il punto cruciale. E questa è la sfida. Quando diciamo che dobbiamo scoprire se c’è qualcosa al di là della coscienza che conosciamo, che dobbiamo uscire dalla dimensione psicologica, non stiamo parlando di qualcosa di misterioso o di mistico, non è niente particolarmente difficile o straordinario.

Un approccio scientifico alla mente umana mi fa vedere con chiarezza che quella della mente è un’attività meccanica; quindi, se nasce rabbia, invidia, gelosia, avidità o ambizione, non mi identifico con niente di tutto questo e non dico: “Sono arrabbiata, invidiosa, ambiziosa”. Non agisco in base a questa identificazione, ma mi distanzio dalle reazioni che ne derivano, sapendo che sono un prodotto collettivo dell’umanità.

Ma non dobbiamo combattere solo i sintomi esteriori dei nostri interessi nel mondo materiale: la struttura contro cui lottare è interiore.

A mio parere, dobbiamo comprendere come una realtà di fatto che l’attività mentale non potrà mai creare un nuovo tipo di società.

Saprete che il mondo comunista ha tentato di creare una società senza classi, senza sfruttamento. Era un nobile sogno, come l’abolizione delle frontiere tra le nazioni, ma qual è la realtà?

La realtà è che la mente umana è gretta qui, come lì. Il rapporto con il denaro è lo stesso, l’ambizione di ricchezza è la stessa e non solo per soddisfare i bisogni essenziali (e qui il denaro è necessario) ma per avere sempre di più, per avidità e non per bisogno. Il rapporto con il denaro e con le cose, l’avidità di possesso, la lotta per il potere e il prestigio, l’emulazione sociale sono uguali in tutti i paesi.

Quindi, è logico e naturale che alterare la vecchia struttura può portare a un reale cambiamento solo se lavoriamo simultaneamente su entrambi i fronti. Per farlo, dobbiamo iniziare dalla psiche e tentare di esplorare una dimensione completamente nuova, in cui il passato non contamina più il presente.

Dobbiamo tutti renderci conto che proprio questa è la sfida; ma non è qualcosa da capire stando seduti in un angolino tranquillo, a casa nostra, ma mentre svolgiamo le nostre attività, sul lavoro, in autobus, cucinando o insegnando ai bambini a scuola. Dobbiamo osservare i movimenti della psiche nella normale vita quotidiana e vederne la natura meccanica, senza considerare questa comprensione una nuova acquisizione da immagazzinare nella memoria.

No, dobbiamo vederla continuamente, come un fatto reale, nei nostri rapporti quotidiani: sono uno specchio che ci rivela la qualità della nostra vita interiore. Possiamo indulgere in vane speranza e avere un’immagine nobilissima di noi stessi, ma quando entriamo in contatto con tutte le nostre idiosincrasie caratteriali, i capricci della mente umana, vediamo anche con grande chiarezza che i nostri comportamenti sono retti e controllati dagli impulsi e dalle passioni, dalle spinte del subconscio.

Per chi intraprende una tale rivoluzione, la meditazione è l’atto più rivoluzionario della vita. E’ l’unica azione totale, tutto il resto è frammentario. La meditazione non è un atto di volontà, è un modo di vivere.

Non basta meditare seduti in un angolo, una persona rivoluzionaria vive in modo meditativo. Osserva i movimenti della psiche e cerca di capire come uscirne qui e ora. Non può farlo in isolamento, perché la vita è rapporto e nell’isolamento non c’è vita. I rapporti sono inevitabili.

Quando nasce un impulso non ci identifichiamo con esso, ma lo portiamo alla luce della consapevolezza. E’ qualcosa che non abbiamo mai fatto, perché in genere quando nasce la rabbia o l’invidia ci identifichiamo con esse e agiamo in base a tale identificazione o, al contrario, la condanniamo, la reprimiamo, la scacciamo o la occultiamo.

Reagiamo sempre in uno di questi due modi. Poi, esteriormente, cerchiamo di essere educati e corretti, ma questa correttezza è una maschera che nasconde l’ipocrisia. Ovviamente non ci piace chiamarla ipocrisia: non siamo forse persone civili? E non confessiamo l’ipocrisia nemmeno a noi stessi.

E’ così che vanno le cose: o condanniamo, reprimiamo e mutiliamo la mente, diventando ipocriti, oppure ci identifichiamo con essa e mettiamo in atto i suoi movimenti chiamandoli “spontanei”.

La meditazione è, a mio parere, la terza via. Le altre due sono entrambe fughe dalla realtà, mentre la meditazione è la via della comprensione dei movimenti della mente, ovvero dei movimenti dell’io e della non identificazione con questi movimenti.

Né voi né io possiamo sbarazzarci della psiche nella sua totalità (conscio, subconscio e inconscio); non possiamo combatterla, annullarla o allontanarla, perché rimarrà sempre lì. Ma, se la portiamo alla luce della consapevolezza, questi movimenti perderanno la loro morsa, la loro presa sulla coscienza e su di noi. Perdono la loro presa perché vediamo simultaneamente l’oggettivo e il soggettivo e, in questa percezione della totalità, la coscienza è passata automaticamente su un piano diverso.

Non è necessario nessuno sforzo per trascendere i contenuti della psiche: li trascendiamo senza sforzo semplicemente vedendoli e comprendendoli. Questa possibilità non è soltanto teorica, ma si è verificata effettivamente nella vita di uomini e donne molto comuni: sarebbe presunzione da parte mia sprecare il vostro tempo offrendovi solo teorie.

Il superamento della psiche è la conseguenza della comprensione della natura della psiche e questa comprensione è un’azione reale e non solo una teoria.

Sapete benissimo quali sono i risultati di una conoscenza teorica. All’università ho studiato libri e libri su moltissimi argomenti: filosofia, psicologia, logica, etica, metafisica e così via, ma tutte le informazioni che acquisivo erano rivolte a superare un esame. Superato l’esame dimenticavo tutto e se, qualche settimana dopo, mi chiedevano che cosa avevo studiato, rispondevo: “Oh, ormai è acqua passata!”. Non ricordavo più niente perché avevo studiato in vista di un unico scopo: passare l’esame.

Se invece vediamo e comprendiamo la natura meccanica del cervello e dei suoi funzionamenti è ovvio che non ci identifichiamo più con niente di tutto ciò che ci si presenta alla mente e la usiamo solo in determinati settori, ad esempio la scienza e la tecnologia, dove abbiamo bisogno di dati fissi.

Le mie informazioni riguardo a una sedia sono valide oggi come saranno valide domani o tra un anno, ma la conoscenza e l’esperienza che ho di voi potrà non essere più valida tra una settimana, perché tra una settimana, o tra ventiquattro ore, potreste essere cambiati.

Gli esseri umani sono assolutamente imprevedibili. Se immagazzino nella memoria l’esperienza che ho di voi oggi e in base a essa entro in rapporto con voi domani, il mio funzionamento relazionale è obsoleto e per nulla scientifico. La meditazione libera dalla memoria e dal passato e sviluppa una coscienza sempre innocente, sempre nuova, che agisce cioè nella dimensione dell’umiltà.

Mi rendo conto che è difficile, perché toglie spazio al piacere della critica e del pettegolezzo. Nonostante gli esseri umani cambino continuamente, quanto tempo sprechiamo a formulare critiche, opinioni e giudizi sugli altri! E, ovviamente, i giornali perderebbero tutto il loro fascino scandalistico, perché non li degneremmo più della minima attenzione.

Se vediamo cosa implica liberarci dall’infatuazione della mente, superare la venerazione della mente, vedremo anche l’ampia portata di queste implicazioni, non solo in termini spazio-temporali, ma perché scenderanno sempre più in profondità, permeando i livelli sempre più profondi del nostro essere. Il superamento della psiche non si ottiene quindi con lo sforzo, ma è una conseguenza logica e naturale della comprensione della verità.

Cos’è la liberazione? Capire la natura della schiavitù porta alla liberazione. Se qualcuno dice che, dopo aver capito cosa sia questa schiavitù, occorre fare uno sforzo per liberarsene, sta parlando in modo superficiale. Non ha fatto la reale esperienza.

La spiritualità è una scienza sperimentale, non un giochino speculativo. Se vediamo come una realtà la natura della schiavitù, se ne comprendiamo il movimento, l’identificazione se ne andrà con la stessa naturalezza di una foglia che in autunno si stacca dall’albero, senza fargli alcun male né danneggiarlo in alcun modo: si stacca semplicemente e lascia posto alla foglia successiva.

Davvero non capisco perché la meditazione sia considerata qualcosa di estremamente difficile, perché si pensi che trascendere la psiche sia una faccenda tremendamente complicata. E’ la cosa più semplice di tutte.

Tratto da: “Ego”, di Vimala Thakar

Fonte: http://www.rebirthing-milano.it/brani-traduzioni/la-sfida-dei-nostri-tempi-dal-libro-ego-vimala-thakar/

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