Vimala Thakar: Non c’è nulla di spirituale nel fare esperienze.

Non c’è nulla di spirituale nel fare esperienze.

“Sono uno strumento nelle mani del passato? Costretto a comportarmi in un certo modo? O c’è la possibilità di liberarmi completamente dalle pastoie del passato? […]

Fino a quando il movimento sul piano mentale viene vissuto come una sorta di avventura romantica, si vuole sperimentare, si può indulgere nell’attività di sperimentare; ma lasciate che vi dica, in tutta umiltà, che sperimentare richiede uno sperimentatore, cioè un centro, un passato a cui fare riferimento e con l’aiuto del quale si riconosce e si identifica.

Perciò, non c’è nulla di religioso nell’attività di sperimentare. Nulla di spirituale nell’acquisire esperienze, siano esse sul piano sensoriale o sul piano astrale, occulto, o trascendente. Ogni esperienza rafforza il centro e lo aiuta a radicarsi sempre di più. Vi tiene nel triangolo formato dall’io, l’attività di sperimentare e lo scopo a cui si arriva con l’esperienza; scopo precalcolato, prefabbricato dalla mente umana, dall’uomo. Perciò non c’è nulla di spirituale nel fare esperienze […].

Siamo così affascinati dal movimento mentale e dalla capacità della mente di sperimentare, […] che siamo veramente assai riluttanti ad allontanarci dalla dimensione dell’esperienza. […]

L’io-coscienza, il sé, il me, l’ego, si sente molto sicuro nell’attività di sperimentare. Ma è un piacere materiale; è un piacere sensoriale, che deriva da un pensiero nuovo, da una nuova ideologia, da un nuovo comportamento psicofisico. È un piacere sensoriale e materiale, e l’uomo ama quel piacere.

[…] Accettiamo l’autorità del passato, accettiamo l’autorità della mente, dell’io-coscienza, e continuiamo a muoverci orizzontalmente da un campo di esperienza a un altro. C’è un modo di uscirne? E se c’è, come ci si pone?

Prima di tutto, ne sento il bisogno? Ho visto la natura ripetitiva dei piaceri intellettuali ed emotivi? Ho visto i limiti intrinseci, i limiti costitutivi della struttura del cervello? Vedo tutto questo? Vedo che ogni esperienza lascia un segno, una tensione, che si aggiunge al fardello della memoria? Ne sento il bisogno? […]

Se i miei nervi sono deboli, se la più piccola esperienza della vita mi sconvolge – qualcuno dice qualcosa che non mi piace e mi sconvolgo tanto che tutta la giornata è rovinata, non riesco a mangiare, non riesco a dormire; basta una parola, un gesto, un’occhiata e la mia mente è così anemica, così fragile, che di una parola o di un evento si fa un cruccio e se lo porta appresso per un giorno intero, per una settimana e questo condiziona tutto: il mio appetito, il mio sonno, la mia gioia di vivere … rovina tutto.

Se la mente è così fragile, se i nervi sono così fragili che l’ego viene ferito da una certa provocazione, in un certo rapporto e io mi sento male; se il più piccolo evento, occasione, sfida, scuote i miei nervi, scuote la mia mente, la mia pace e la mia serenità, allora ovviamente non sono preparata, non mi sono educata al confronto con una nuova dimensione di vita, una nuova dimensione di coscienza.

Sono abituata a vivere nel recinto chiuso della psiche, dove tutto è già programmato, pianificato, predisposto. I meccanismi di difesa sono già predisposti. So come barcamenarmi in ogni situazione […]. Perciò, sono abituata a vivere qui dentro; e la trascendenza non implica forse un allontanarsi dall’area difesa, protetta, sicura?”

Tratto da: “Il mistero del silenzio”, di Vimala Thakar

Fonte: http://www.lameditazionecomevia.it/vimala4.htm

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