Vita, morte e trascendenza.

Un’esperienza di morte, un’esperienza di vita e il ‘Top state’.

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“Ti devi fermare ogni tanto e osservare. Cosa? L’interno… non quello schermo buio che si estende dietro i tuoi occhi, dietro la tua testa, perché quello è un altro dei fenomeni che vengono osservati. No… quello che osservi è colui che osserva. La consapevolezza che guarda la consapevolezza stessa.”

Ragionavo su queste frasi, dettemi dalla mia insegnante di quel qualcosa che non posso che chiamare consapevolezza pura, il fine e lo scopo di tutta la mia esistenza. Come un koan, queste parole risuonavano nella mia mente dall’ultima volta in cui ci siamo sentiti, quella volta nella quale, spinto dal dolore della perdita di una persona cara, chiesi a lei un aiuto diretto, immediato.

La morte è una chiamata al risveglio, mi disse… e io, che detesto questa parola, risveglio, per i suoi connotati razzisti e separativi (c’è chi dorme e chi si è svegliato… si dice.) forse per la prima volta in vita mia ne vedevo il senso.

Qualcosa cambia profondamente quando muore qualcuno, ma quel qualcosa non riguarda semplicemente il fatto che questo qualcuno non ci sarà più. Almeno non per me. Elaborare la morte di qualcuno è un esercizio sacro, se non vengono disattesi i requisiti e i compiti a cui esso ci chiama.

C’è il dolore, certo, c’è la constatazione dell’assenza e la percezione dell’ineluttabilità, ma c’è anche qualcos’altro. Per giorni e giorni non potei pensare ad altro, perché ero in preda a una enorme agitazione ed era come se la mente avesse temporaneamente perso il controllo. Al di sotto della mancanza di controllo e del caos vi era una precisa domanda che faceva capolino nel marasma… “che senso ha tutto questo?”.

D’un tratto capivo che ero arrivato soltanto fino ad un certo punto nella mia ricerca e che le mie esperienze si fermavano a dei punti di presenza profonda sparsi a caso nella mia vita, a degli attimi di pace e di gioia incommensurabile che punteggiavano uno sfondo indistinto e ad uno stato di fede quasi totale che scorreva al di sotto della coltre dei miei pensieri.

Certo, ero arrivato a delle esperienze di confine che però, nonostante tutto, non avevano mai saziato una sete più profonda. Avevo visto qualche miracolo. Ma mi ero reso conto che in tutti questi anni avevo solo rimandato. Avevo solo rimandato la ferma e irrevocabile decisione di andare oltre e raggiungere quel qualcos’altro che sapevo esserci e che sapevo essere il centro di tutto il discorso, l’esperienza della trascendenza, il sé.

Avevo solo posticipato la scelta di lasciar stare qualunque altro percorso che non fosse il percorso diretto verso questa esperienza, pur chiamando questa esperienza a gran voce. Ed ecco la chiamata: non riuscivo più a pensare a nient’altro che al fatto che, senza una conoscenza diretta di questa trascendenza, la vita non avrebbe avuto senso, né ne aveva la ricerca. Trovavo improvvisamente insensati tutti i discorsi legati alla legge di attrazione e alla guarigione fisica e tutte quelle altre cose a cui mi ero dedicato per anni, perché… hey, qui si muore ragazzi!

Prima o poi finisce tutto. E lei mi spiegò che l’urgenza che adesso sentivo, era finalmente un accordo tra conscio e subconscio, quest’ultimo infatti si era convinto finalmente a lasciar stare tutte le illusioni e ad andare verso il sé. Mi spiegò che Lester Levenson diceva che molti di noi vogliono il proprio ‘risveglio’ (argh, ancora questa parola!) soltanto a livello conscio, ma sub-consciamente si oppongono ad esso strenuamente e, nel far ciò, parlano tantissimo di quello stato che vogliono raggiungere, scrivono, leggono fanno corsi e insegnano anche, ma non fanno mai ciò che andrebbe fatto davvero, dimorare nel sé.

Lester lo chiamava il ‘Top State’, quello stato in cui si perde totalmente l’identificazione con l’ego. Quello stato in cui non si è più colui che ‘fa’, non c’è un vero e proprio ‘io’ che esegue delle azioni, c’è solo un totale stato di presenza, pace e una diretta correlazione col proprio io superiore.

Questo stato fa paura all’ego, principalmente perché esso sente che perdere il controllo e affidarlo al sé è come morire e questa morte virtuale non ha eguali. Sente che andare verso il sé significherebbe rinunciare a tante cose, soldi, sicurezza, sesso e in genere al mondo con tutte le sue promesse. Per questo si oppone strenuamente alla riuscita del piano d’azione per scardinare la nostra identificazione con il corpo, con la mente e con il mondo, per questo continua a proferire parole su parole, a scrivere articoli su un blog o su una pagina facebook, continua a fare tutto questo per convincere sé stesso e gli altri, di cui cerca l’approvazione, che sta andando in quella direzione… ma fintanto che c’è anche un solo pensiero, anche un solo rumore, una sola immagine di questo fantomatico ‘risveglio’, è certo che non si è ancora arrivati lì.

Ad un tratto, però, accade qualcosa. Un evento ‘reale’ scuote tutta la tua attenzione e le stupidaggini che ti racconti sulla realtà. Un evento inatteso ti porta a considerare quanto fragile sia quel filo sottile a cui sei disperatamente aggrappato, che chiami ‘vita’ e quanto tutta la tua spiritualità sia in realtà solo un tentativo di convincerti che quel filo è sicuro e saldo nelle mani di qualche ‘Dio’ buono, paziente, comprensivo che tu però non hai mai visto. Quell’evento inaspettato ti convince che non è affatto così e non lo sarà fin quando non ne avrai una esperienza diretta; e sarà allora che conscio e subconscio cominceranno ad essere d’accordo sul fatto che l’unico scopo dell’esistenza, come affermava Lester, è conoscere ciò che sei davvero e vivere da quello stato, il Top State.

Non è la ‘fede’, ma ‘l’esperienza’, quella che stiamo cercando. Quando tutte le illusioni crollano sotto il peso della realtà, quando tutti i tuoi precetti, le tue credenze e convinzioni sono spazzate via dal trascorrere del tempo, dalla morte delle persone che ti sono vicine, dalla constatazione che veramente tutto su questa terra si dissolve, allora, forse, inizi ad avere un barlume della luce che è il sé, perché sei costretto ad ammettere che qualunque altra cosa è assolutamente temporanea.

Lei mi disse che questa è la vera chiamata, che arriva non attraverso squilli di trombe, presenze angeliche o altri paramenti celestiali, ma attraverso questa precisa presa di coscienza della futilità della vita. Poi mi diede una sorta di pratica da iniziare, partendo da questo dolore profondissimo e aggiunse ‘senza volerlo scacciare e senza volerlo evitare, puoi semplicemente permettere a ciò che osserva questo dolore di essere percepito? Chi è colui che osserva questo dolore? Questa pura presenza senza sforzo, gentile che accetta tutto, sempre consapevole… puoi permettergli di essere percepita, osservata? Quello è ciò che sei”.

E ieri, mentre praticavo Qigong in un bosco meraviglioso, mi sono accorto che queste sue frasi, parole pronunciate attraverso una connessione skype che ha attraversato il globo, mi avevano germogliato dentro più di quanto avessi sperato: improvvisamente, in mezzo a questa natura meravigliosa, qualcosa si è mosso ed è andato a posto, sono riapparse queste parole e ho sentito quella presenza, dolce, meravigliosa, profonda, quella presenza al cui cospetto ogni dolore, ogni illusione e ogni vacuità si sono dissolti. E’ durato poco, purtroppo, ma quel poco è bastato per illuminare nuovamente la strada che ancora c’è da percorrere, se mai finirà.

Andrea Panatta

Fonte: http://maghierranti.blogspot.it/2015/10/una-esperienza.html

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