G.I. Gurdjieff: Io chi sono? 1 di 2.

Terra x Blog + Nero 2015

 Io chi sono?

Parte 1.

“Quando impariamo, noi ascoltiamo solo i nostri pensieri. Per questo motivo non ci è possibile accogliere nuovi pensieri, a meno di non ricorrere a nuovi metodi di ascolto e di studio.” – G.I. Gurdjieff, Londra, 13 febbraio 1922.

Affrontando vari argomenti, ho notato quanto è difficile comunicare la propria comprensione, anche quando si parla dell’argomento più comune e ci si rivolge a una persona ben conosciuta. Il nostro linguaggio è troppo povero per poter fornire delle descrizioni esatte e complete. E ho scoperto che questa mancanza di comprensione tra gli uomini è un fenomeno matematicamente regolato con la stessa precisione della tavola pitagorica. La comprensione dipende, in generale, dalla cosiddetta « psiche » degli interlocutori, e più in particolare dallo stato di questa « psiche » nel momento considerato.

L’esattezza di questa legge si può verificare a ogni passo. Per una reciproca comprensione, non è sufficiente che chi parla sappia come parlare, è anche necessario che chi ascolta sappia come ascoltare. Per questo motivo posso affermare che se parlassi nel modo che ritengo esatto, tutti coloro che sono qui, con pochissime eccezioni, penserebbero che sono pazzo. Ma dal momento che devo parlare a questo uditorio così com’è, e che i partecipanti mi devono seguire, occorre prima di tutto porre le basi per una comprensione comune.

Nel corso del nostro incontro dovremo fissare dei punti di riferimento affinché la conversazione risulti efficace. Per ora vorrei soltanto proporvi di provare a osservare le cose, i fenomeni che vi circondano, e soprattutto voi stessi, da un punto di vista diverso da quello che vi è abituale o naturale. Osservare soltanto, perché fare di più non è possibile se non con la volontà e la cooperazione dell’ascoltatore, quando esso smette di ascoltare passivamente e comincia a fare, cioè quando entra in uno stato attivo.

Molto spesso, parlando con la gente, sentiamo esprimere più o meno apertamente l’idea che l’uomo, così come l’incontriamo nella vita ordinaria, è in qualche modo il centro dell’universo, la « corona della creazione » o, per lo meno, un’entità grande e importante; che le sue possibilità sono quasi illimitate, e i suoi poteri quasi infiniti. Ma, contemporaneamente, vengono avanzate un certo numero di riserve: perché l’uomo sia così, si dice che occorrono delle condizioni eccezionali, delle circostanze speciali, l’ispirazione, la rivelazione, e così via.

Tuttavia, se studiamo questa concezione dell’uomo, ci accorgiamo subito che essa è costituita da un insieme di caratteristiche che non appartengono a un unico uomo, ma a più individui reali o immaginari. Nella vita reale non incontreremo mai un uomo del genere, né nel presente, né come personaggio storico del passato. Infatti ogni uomo ha le proprie debolezze e, se lo guardiamo da vicino, il miraggio di grandezza e di potenza svanisce.

D’altra parte, il fatto più interessante non è che gli uomini vedano gli altri attraverso questo miraggio, ma che, per una particolare caratteristica del loro psichismo, essi, come per riflesso, lo trasferiscano a se stessi e se l’attribuiscano; e se non proprio per la totalità, almeno in parte. Così, pur essendo delle nullità o quasi, essi immaginano di corrispondere a questo tipo collettivo, o di non esserne molto lontani.

Ma se un uomo sa essere sincero verso se stesso, non sincero come s’intende abitualmente, ma spietatamente sincero, allora, di fronte alla domanda: « Che cosa sei? » non conterà su una risposta rassicurante. E ora, senza aspettare che arriviate da soli all’esperienza di cui sto parlando, e perché possiate comprendere meglio ciò che intendo dire, vorrei suggerire a ciascuno di voi di porsi la domanda: « Che cosa sono? » Sono certo che il 95% di voi si troverà in imbarazzo, e che finirete per rispondervi con un’altra domanda: « Che cosa significa? »

Questa è la prova che un uomo ha vissuto tutta la vita senza porsi tale domanda, e che ritiene scontato di essere « qualcosa », addirittura qualcosa di molto prezioso che non è mai stato messo in dubbio. Nello stesso tempo egli è incapace di spiegare che cos’è questo qualcosa, incapace persino di darne una minima idea, dal momento ch’egli stesso l’ignora. E se l’ignora, non è forse perché questo « qualcosa » molto semplicemente non esiste, ma solamente si suppone che esista? Non è strano che le persone dedichino così poca attenzione a se stesse, alla conoscenza di se stesse? Non è strano che chiudano gli occhi con tanto sciocco compiacimento su ciò che sono realmente, e che passino la vita nella piacevole convinzione di rappresentare qualcosa di prezioso? Esse si dimenticano di guardare il vuoto insopportabile che si cela dietro la superba facciata creata dal loro autoinganno, e non si rendono conto che questa facciata ha un valore puramente convenzionale.

Per la verità, non è sempre così. Non tutti si guardano così superficialmente. Ci sono degli uomini che cercano, che hanno sete della verità profonda e si sforzano di trovarla, che tentano di risolvere i problemi posti dalla vita, di arrivare all’essenza delle cose, dei fenomeni, e di penetrare in se stessi. Se un uomo ragiona e pensa in modo corretto, qualunque strada segua per risolvere questi problemi, deve inevitabilmente ritornare a sé e cominciare a risolvere il problema di ciò che egli stesso rappresenta e di qual è il suo posto nel mondo che lo circonda. Infatti, senza questa conoscenza, la sua ricerca sarà priva di un centro di gravità. Le parole di Socrate: « Conosci te stesso » restano il motto di tutti coloro che cercano la vera conoscenza e l’essere.

Ho appena usato una parola nuova: l’« essere ». Per garantirci che con questa parola intendiamo tutti la stessa cosa, sono necessarie delle spiegazioni.

Ci siamo appena chiesti se ciò che un uomo pensa di se stesso corrisponde a ciò che egli è in realtà, e voi vi siete interrogati su ciò che siete. Qui ci sono un medico, un ingegnere, un artista. Essi sono realmente ciò che noi pensiamo che siano? Possiamo ritenere che la personalità di ciascuno di essi sia assimilabile alla professione, all’esperienza che tramite la professione, o per la sua preparazione, essi hanno acquisito?

Ogni uomo viene al mondo simile a un foglio di carta bianca; ma le circostanze e le persone che gli stanno intorno fanno a gara per imbrattare questo foglio e per ricoprirlo di ogni genere di scritte. Ed ecco intervenire l’educazione, le lezioni di morale, il sapere che chiamiamo conoscenza, tutti i sentimenti di dovere, onore, coscienza ecc. E ogni educatore proclama il carattere immutabile e infallibile dei metodi ch’egli stesso utilizza per innestare questi rami all’albero della « personalità » umana. A poco a poco il foglio si macchia, e più è macchiato di pretese « conoscenze », più l’uomo è considerato intelligente. Più sono numerose le scritte nel posto chiamato « dovere », più il possessore è considerato onesto; e così via per ogni cosa. Il foglio così sporcato, accorgendosi che le macchie vengono scambiate per meriti, le considera preziose. Ecco un esempio di ciò che chiamiamo «uomo », cui aggiungiamo spesso delle parole come « talento » e « genio ». Eppure il nostro « genio » vedrà il suo umore guastarsi per tutto il giorno se al mattino, svegliandosi, non trova le pantofole accanto al letto.

L’uomo non è libero, tanto nelle sue manifestazioni che nella vita. Non può essere ciò che vorrebbe essere, e nemmeno ciò che crede di essere. Non somiglia all’immagine che ha di se stesso, e le parole « uomo, corona della creazione » non gli si adattano.

« Uomo »: una parola altisonante, ma dobbiamo chiederci di che tipo di uomo si tratta. Non certo l’uomo che si irrita per delle sciocchezze, che presta attenzione a delle meschinità si lascia coinvolgere da tutto ciò che gli succede intorno. Per avere il diritto di chiamarsi uomo, bisogna essere un uomo, e « essere un uomo » è possibile soltanto grazie alla conoscenza di sé, e al lavoro su di sé nella direzione indicata da tale conoscenza.

Avete mai provato a osservare ciò che vi succede quando la vostra attenzione non è concentrata su un problema preciso? Suppongo che per molti di voi questa sia una condizione abituale, sebbene ovviamente pochi l’abbiano osservata sistematicamente. Forse siete consapevoli del modo in cui il nostro pensiero procede per associazioni fortuite, quando sfilano scene e ricordi senza alcun rapporto, quando tutto ciò che cade nel campo della nostra coscienza, o semplicemente lo sfiora, ci suscita delle associazioni casuali. Il filo dei pensieri sembra svolgersi senza interruzione, tessendo insieme frammenti di immagini di precedenti percezioni, estratte da diverse registrazioni immagazzinate nella nostra memoria. E mentre queste registrazioni scorrono e si svolgono, il nostro apparato formatore tesse incessantemente la trama dei pensieri a partire da questo materiale. La registrazione delle nostre emozioni scorre nello stesso modo: piacevole e spiacevole, allegria e preoccupazione, riso e irritazione, piacere e dolore, simpatia e antipatia. Qualcuno vi loda, e voi siete contenti; qualcuno vi rimprovera, e il vostro umore si guasta. Qualche novità vi attira, e immediatamente dimenticate ciò che tanto vi interessava un attimo prima: in poco tempo questa nuova cosa assorbe il vostro interesse al punto da sommergervi completamente; e d’un tratto voi non la dominate più; siete spariti, vi trovate legati a questa cosa, dissolti in essa; in realtà, è la cosa a dominarvi, a tenervi prigionieri.

Questo smarrimento, questa propensione a lasciarsi dominare è, sotto svariate forme, propria a ciascuno di noi è questo che ci lega e ci impedisce di essere liberi. E, quel che è peggio, questo fatto assorbe tutte le nostre forze e il nostro tempo, e ci toglie ogni possibilità di essere oggettivi e liberi, due qualità essenziali per chi decide di seguire la via della conoscenza di sé.

Dobbiamo lottare per liberarci, se vogliamo lottare per conoscerci. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L’uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili.

Che cosa permetterà all’uomo di consacrare utilmente il proprio tempo alla ricerca, se non la libertà da ogni attaccamento?

Libertà e serietà. Non la serietà delle sopracciglia aggrottate, delle labbra tirate, dei gesti accuratamente calcolati, delle parole misurate fra i denti, ma la serietà che vuol dire determinazione e perseveranza nella ricerca, intensità e costanza, in modo che l’uomo, anche nei momenti di riposo, persegua il suo obiettivo principale.

Chiedetevi: « Sono libero? » Molti saranno tentati di rispondere di sì, se si trovano in una condizione di relativa sicurezza materiale, senza preoccupazioni per il domani, e se non dipendono da nessuno per la propria sussistenza o per la scelta delle proprie condizioni di vita. Ma è quella la libertà? É soltanto una questione di condizioni esteriori?

Hai parecchi soldi, vivi nel lusso e godi del rispetto e della stima generale. Alla testa delle importanti aziende da te controllate si trovano uomini capaci, che ti sono profondamente devoti. In poche parole, la tua vita è un vero letto di rose. Pensi di essere totalmente libero, poiché, dopo tutto, il tuo tempo ti appartiene. Sei un patrono delle arti, dai disposizioni su problemi mondiali sorbendo una tazza di caffè, e ti interessi allo sviluppo dei Poteri spirituali nascosti. Non sei estraneo alle cose spirituali e ti senti a tuo agio di fronte alle questioni filosofiche. Sei colto e istruito. Grazie alle tue conoscenze che coprono i più svariati campi del sapere, hai la reputazione di uomo intelligente in grado di risolvere qualunque problema. Sei il modello dell’uomo raffinato. In breve, sei una persona da invidiare.

Questa mattina ti sei svegliato sotto l’influsso di un brutto sogno. Questo leggero malumore è scomparso rapidamente, ma ha lasciato qualche traccia: una specie di lentezza, di esitazione nei movimenti. Vai allo specchio per spazzolarti i capelli e, inavvertitamente, lasci cadere la spazzola. Appena la raccogli, ti sfugge di nuovo. La riprendi con un po’ di impazienza, e per la terza volta ti scivola dalle mani. Cerchi di afferrarla al volo, e invece la mandi a colpire lo specchio. Inutilmente cerchi di fermarla. Crac! Una stella di frammenti compare sullo specchio antico di cui andavi così fiero. Accidenti! I nastri del disappunto cominciano a girare. Hai bisogno di scaricare l’irritazione su qualcuno. Accorgendoti che il tuo domestico si è dimenticato di posare il giornale accanto al caffè del mattino, il vaso trabocca e decidi che quel buono a nulla non può stare più a lungo in casa tua.

É venuta l’ora di uscire. Dal momento che è una bella giornata e non hai da fare molta strada, decidi di andare a piedi, mentre l’automobile ti segue al passo. Il bel sole ti fa un effetto rilassante. Un assembramento formatosi all’angolo della via attira la tua attenzione. Avvicinandoti, scorgi un uomo svenuto sul marciapiede. Con l’aiuto dei passanti, qualcuno lo adagia su un taxi che lo porta all’ospedale. Tu osservi che il viso stranamente familiare del tassista ti ricorda, per associazione, l’incidente che ti è capitato l’anno scorso. Stavi rientrando a casa dopo aver festeggiato allegramente un anniversario, c’erano dei pasticcini così deliziosi! Quel dannato domestico, dimenticandosi il giornale del mattino, ti ha rovinato la colazione. Non si può rimediare a questo guaio? Dopo tutto, i dolci e il caffè hanno la loro importanza! Eccoti proprio davanti al famoso caffè dove vai ogni tanto con gli amici. Ma perché ti era venuto in mente l’incidente? Hai quasi dimenticato i fastidi della mattinata… E adesso, il dolce e il caffè sono proprio così buoni?

To! Due belle ragazze al tavolo vicino. Che bionda incantevole! Ella ti lancia uno sguardo malizioso e sussurra all’amica: “Ecco il tipo di uomo che mi piace“. Certamente nessun fastidio merita più la tua attenzione, né val la pena di prendersela per delle sciocchezze. C’è bisogno di farti notare com’è cambiato il tuo umore mentre facevi conoscenza con la bella bionda, e come si è mantenuto per tutto il tempo passato in sua compagnia?

Ritorni a casa canticchiando un motivetto allegro, e persino lo specchio rotto può solo strapparti un sorriso. Ma… e l’affare per cui eri uscito stamattina? Solo ora te ne sei ricordato… Niente di grave! Dopo tutto, si può sempre telefonare.

Stacchi il ricevitore e la centralinista ti passa un numero sbagliato. Chiami un’altra volta, e l’errore si ripete. Un uomo ti avverte sgarbatamente che lo stai seccando. Tu rispondi che non dipende da te; ne segue una discussione dalla quale apprendi con stupore che sei un cafone, un idiota, e che se chiami ancora…

Il tappeto che ti si è arricciato tra i piedi ti esaspera, e dovresti sentire con che tono di voce sgridi il domestico che ti porta una lettera. É la lettera di una persona che tu stimi e la cui opinione ti preme molto. Il contenuto del messaggio è così lusinghiero che la tua irritazione a poco a poco svanisce, per lasciare il posto a quella deliziosa sensazione di imbarazzo che è solita suscitare l’adulazione. Al termine della lettera, sei di ottimo umore.

Potrei continuare a lungo a descrivere la vostra giornata, o voi, uomini liberi! Pensate forse che esageri? No, sono dell’istantanee prese dal vivo.

Quella che vi ho raccontato era una giornata di un uomo importante e di fama internazionale, ricostruita e descritta dal medesimo quella sera stessa, come esempio vivente di pensieri e sentimenti associativi.

Dov’è allora la libertà, quando le persone e le cose dominano un uomo al punto ch’egli dimentica il suo umore, i suoi affari e se stesso? Un uomo soggetto a cambiamenti del genere è in grado di avere un atteggiamento almeno un po’ serio verso la propria ricerca?

Ora siete in grado di capire meglio che un uomo non è necessariamente quel che sembra, e che non sono i fatti esteriori o le situazioni che contano, ma la struttura interna dell’uomo e il suo atteggiamento in rapporto a quei fatti.

Ma forse pensate che quanto abbiamo appena detto sia vero soltanto per le associazioni passeggere. Forse la situazione è diversa rispetto alle cose che l’uomo « conosce».

Ma io chiedo a tutti voi: se per qualche motivo vi fosse impossibile mettere in pratica per molti anni le vostre conoscenze, che cosa ne resterebbe? Non sarebbe come avere del materiale che col tempo evapora e diventa secco? Ricordatevi del foglio di carta bianca. É un dato di fatto che nel corso della nostra vita impariamo continuamente delle cose nuove. E chiamiamo « conoscenza » i risultati di questa accumulazione. Ma, a dispetto di tutte queste conoscenze, non siamo spesso lontani dalla vita reale, e quindi disadattati? Noi siamo sviluppati a metà, come i girini, o, più spesso ancora, semplicemente «istruiti», cioè in possesso di frammenti di informazioni su tante cose, ma tutte vaghe e inadeguate. E infatti si tratta soltanto di informazioni: non possiamo chiamarle « conoscenze ». La conoscenza è una proprietà inalienabile dell’uomo, non può essere né più grande né più piccola di lui. Infatti un uomo « conosce » soltanto quando egli stesso « è » quella conoscenza.

Quanto alle vostre convinzioni, non le avete mai viste cambiare? Non sono soggette anch’esse a delle oscillazioni, come tutto ciò che è in noi? Non sarebbe più corretto chiamarle opinioni anziché convinzioni, visto che dipendono tanto dal nostro umore che dalle nostre informazioni, o anche, semplicemente, dallo stato della nostra digestione in quel momento?

Ognuno di voi non è che un banale esemplare di automa animato. Probabilmente pensate che, per fare ciò che fate e per vivere come vivete, siano necessari un’«anima» e persino uno «spirito». Ma forse basta una chiavetta per ricaricare la molla del vostro meccanismo. La vostra razione quotidiana di cibo contribuisce a ricaricare questa molla e a rinnovare continuamente l’inutile sarabanda delle vostre associazioni. Da questo sfondo emergono dei pensieri slegati, che voi cercate di connettere insieme, presentandoli come preziosi e personali. E, altrettanto, coi sentimenti e le sensazioni passeggere, con gli umori e le esperienze vissute, ci creiamo il miraggio di una vita interiore. Ci vantiamo di essere coscienti, capaci di ragionamento, parliamo di Dio, dell’eternità, della vita eterna, e di argomenti elevati; parliamo di tutto ciò che si può immaginare; discutiamo, definiamo e valutiamo, ma omettiamo di parlare di parlare di noi stessi e del nostro reale valore oggettivo.

Infatti siamo tutti convinti che se ci manca qualcosa, possiamo sicuramente acquisirlo.

Se con tutte le cose che ho detto sono riuscito a chiarire, anche minimamente, in quale caos vive quest’essere che chiamiamo uomo, voi stessi sarete in grado di trovare una risposta alla domanda di ciò che gli manca, di ciò che può aspettarsi restando com’è, di quali valori può aggiungere al valore che ha.

Ho già detto che certi uomini hanno fame e sete di verità: se un uomo del genere si interroga sui problemi della vita ed è sincero con se stesso, si convincerà presto che non gli è più possibile vivere come ha vissuto, né essere ciò che è stato finora; che ha bisogno a ogni costo di trovate una via d’uscita da questa situazione, e che un uomo può sviluppare dei poteri e delle capacità nascoste soltanto ripulendo la propria macchina da ogni incrostazione accumulata nel corso della vita. Per cominciare razionalmente questa pulita, è necessario vedere ciò che va pulito, dove e come; ma vederlo da sé è quasi impossibile. In questo campo, per cogliere una cosa qualunque, è necessario osservare dall’esterno: ecco perché è indispensabile l’aiuto reciproco.

Se ricordate l’esempio di identificazione che vi ho fatto prima, potrete capire quanto un uomo sia cieco quando si identifica ai propri umori, sentimenti e pensieri. Ma la nostra dipendenza si limita a ciò che possiamo cogliere a prima vista, a ciò che è così evidente che non mancherà di attirare la nostra attenzione? Vi ricordate quanto abbiamo detto circa il modo in cui giudichiamo il carattere delle persone, dividendole arbitrariamente, in buone e cattive?. Man mano che un uomo comincia a conoscersi, scopre continuamente dentro di sé nuove zone di meccanicità, che chiameremo automatismo: zone in cui la sua volontà, il suo « io voglio » non ha alcun potere, e dove tutto è così confuso e sfuggente, che gli è impossibile raccapezzarsi senza essere aiutato e guidato dall’autorità di qualcuno che sa.

G.I. Gurdjieff

Link alla Parte 2 >>>

Fonte del Post: http://www.astronavepegasus.it/pegasus/index.php/spiritualita-e-riflessione/714-io-chi-sono-di-g-i-gurdjieff#.VPwZ2PnMhj5
Tratto da: http://www.riflessioni.it/

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