Jiddu Krishnamurti: La non-meditazione.

La non-meditazione della consapevolezza.

La visione di Krishnamurti della condizione umana è vicina a quella del buddismo. La mente e il mondo, dice Krishnamurti, sono in un flusso eterno: “C’è un solo fatto, l’impermanenza”. La mente umana si aggrappa a un “me”, a fronte dell’insicurezza di questo flusso. Ma il “me” esiste solo attraverso l’identificazione con ciò che esso immagina di essere stato e che desidera essere. Il “me” è una massa di contraddizioni, desideri, aspirazioni, appagamenti e frustrazioni, dove la tristezza pesa più della gioia”.

Una fonte di tristezza è il costante conflitto mentale tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. La mente condizionata, nell’analisi di Krishnamurti, sfugge alla realtà concreta della sua impermanenza, della sua vacuità, e della sua tristezza: si costruisce muri di abitudine e di ripetitività, e insegue i suoi sogni del futuro o si aggrappa a ciò che è stato. Queste difese ci paralizzano, ci impediscono di vivere nel momento presente.

Krishnamurti obietta ai metodi di meditazione, alla soluzione che così tanti altri propagandano. La mente può sì tentare di sfuggire al condizionamento attraverso la meditazione, dice Krishnamurti, ma essa crea semplicemente, nel tentativo stesso, un’altra prigione di metodi da seguire e di scopi da raggiungere.

Egli si oppone alle tecniche di ogni genere ed esorta ad accantonare tutta l’autorità della tradizione: da esse si può solo raccogliere ulteriore conoscenza, mentre c’è bisogno di comprensione. Secondo Krishnamurti, nessuna tecnica può liberare la mente, perchè ogni sforzo da parte della mente intreccia soltanto un’altra rete. (…) La meditazione che lui propugna non ha un sistema e, meno che mai, “ripetizione e imitazione”.

Egli propone come mezzo e fine allo stesso tempo una “consapevolezza senza scelta”, l’”esperienza di ciò che è senza nome”. Questo stato è al di là del pensiero; tutto il pensiero, dice, appartiene al passato e la meditazione è sempre nel presente. Per essere nel presente, la mente deve abbandonare le abitudini acquisite, tranne che il desiderio di essere salvi: “i suoi beni e le sue virtù devono essere restituite alla società che li ha prodotti”. Si deve lasciar andare ogni pensiero e ogni immagine.

Consiglia Krishnamurti:

“Fate che la mente sia vuota e non piena con le cose della mente. Allora ci sarà solo meditazione e non un meditatore che sta meditando. La mente irretita dalla fantasia può solo nutrire illusioni. La mente deve essere chiara, senza movimento e, nella luce di quello splendore, l’eterno è rivelato”.

Krishnamurti sembra sostenere solo uno stato finale, un metodo senza metodo. Ma a un’analisi più ravvicinata, egli dice esplicitamente a tutti quelli che potrebbero udirlo il “come”, benchè nello stesso tempo insista che “non c’è un come: non c’è metodo”.

Egli ci istruisce “solo a essere consci di tutto questo… delle vostre abitudini, delle vostre reazioni”. Il suo mezzo è quello di osservare costantemente la propria consapevolezza.

La “non tecnica” di Krishnamurti può risultare più chiara da alcune istruzioni che egli diede a un gruppo di giovani scolari indiani. Prima disse loro di sedere in silenzio, con gli occhi chiusi, e poi di osservare la progressione dei loro pensieri. Egli li sollecita a continuare questo esercizio in altri momenti, incluso quando passeggiavano o a letto o di notte:

“Dovete osservare, come osservate una lucertola che passa, che sguscia attraverso il muro, vedendo tutte le sue quattro zampe, il modo in cui si infila nel muro; dovete osservarla, e mentre lo fate, ne vedete tutti i movimenti, la delicatezza dei suoi movimenti. Così, allo stesso modo, osservate il vostro pensare, non correggetelo, non sopprimetelo – non dite che è troppo difficile – solo osservatelo, ora, questa mattina”.

Egli chiama questa attenzione accurata “conoscenza di sè”. La sua essenza è “di percepire le modalità della propria mente, cosicchè essa è libera di essere immobile”.

Quando la mente è immobile, si arriva a comprendere. La chiave per capire è “attenzione senza la parola, il nome”. L’istruzione di Krishnamurti è “guarda e sii semplice”: dove c’è attenzione senza pensiero reattivo, lì c’è realtà.

Il processo che Krishnamurti propone per la conoscenza di sè non fa che duplicare la pratica della consapevolezza. Ma lui stesso, molto probabilmente, non perdonerebbe questa comparazione, a causa del pericolo che egli vede nel voler perseguire un qualunque obiettivo attraverso una tecnica. Il processo che suggerisce per calmare la mente sgorga spontaneamente dalla presa di coscienza della propria condizione, perchè sapere “che sei stato addormentato è già uno stato di risveglio”. (…)

Questa presa di coscienza non può essere cercata, ma “viene senza invito”. Se uno dovesse in qualche modo sperimentare la presa di coscienza di cui egli parla, Krishnamurti rassicura che emergerebbe un nuovo stato, nel quale si è liberati dalle abitudini condizionate di percezione e cognizione, e svuotati di sè. (…)

Vivendo in un eterno presente, si cessa di raccogliere impressioni o esperienze; il passato muore in ogni momento, Con questa consapevolezza senza scelta, si è liberi di essere semplici; ancora secondo le parole di Krishnamurti:

“Sii lontano, lontano dal mondo del caos e della miseria, vivi in esso, senza esserne toccato. La mente meditativa non ha legami con il passato e con il futuro, eppure è capace in maniera sana di vivere con chiarezza e ragione”.

Tratto da: “La forza della meditazione”, di Daniel Goleman

Fonte: https://www.meditare.net/wp/meditazione/krishnamurti-la-non-meditazione-della-consapevolezza/

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