Jon Kabat-Zinn: Lo sdegno è inutile.

Lo sdegno non è utile.

Lo sdegno non è utile, per quanto comprensibile possa essere e quale ne sia l’oggetto. Non è utile perché dà per scontato che le cose « dovrebbero » andare diversamente, mentre la verità è che stanno andando come stanno andando.

È così, proprio adesso, ed esiste soltanto l’adesso. Che debbano o non debbano andare così è irrilevante, fa parte di una storia che ci stiamo raccontando e che forse ci rende ciechi, impedendoci di trovare modi più creativi e più autentici di vedere la situazione e di metterci in relazione con essa, modi che davvero cambino qualcosa, che spostino di un poco la « curva a campana », catalizzino una rotazione ortogonale, magari diano un nome alla follia, se non addirittura le mettano fine immediatamente.

L’alternativa è limitarci a cambiare i personaggi, ma conservare la stessa sceneggiatura indiscussa, fraintesa e spesso demenziale: sarebbe come mettere in bell’ordine le sedie sdraio sul ponte del Titanic, costruirne un altro dopo che il primo è affondato e poi tornare a risistemare le sdraio sul ponte.

Abbiamo un disperato bisogno di imparare a fidarci della nostra esperienza diretta delle cose e a raccogliere il coraggio di rimanere fermi nelle nostre convinzioni, basate sul saggio discernimento e sul chiaro apprendimento e sulla chiara comprensione, invece che su basi ideologiche o su una correttezza politica interessata. Forse dobbiamo insegnare a noi stessi, e lasciare che il mondo ci insegni, a fermarci e dimorare in una coraggiosa apertura, a percepire quel che c’è dietro i veli dell’apparenza e della disinformazione e anche dietro la nostra stessa cecità, i nostri pensieri speranzosi, le tendenze a volgere ogni cosa in bianco o nero, buono o cattivo, perdendo il contatto con la profondità delle cose.

Eppure, in tutto questo, occorre ancora che ci radichiamo in ciò che vediamo e percepiamo; occorre che sentiamo a modo nostro che cosa potremmo dare, in che cosa e come potremmo impegnarci realmente per cambiare le cose, senza cadere nel nostro « io » ristretto e fifone, con tutti i suoi problemi, oppure nello sdegno che sottintende che noi siamo moralmente più retti degli altri, in qualche modo più puri, più illuminati, immacolati di colpe o peccati: che siamo noi gli unici a possedere la conoscenza. Più lo diciamo o lo pensiamo, più è probabile che ci crediamo e allora questo diventa un altro concetto reificato, un impedimento proprio alla libertà e all’onestà e alla vera moralità che invochiamo negli altri, che rivendichiamo di possedere noi stessi e di cui godiamo.

Si sente bene quanto sia pericoloso questo modo di pensare, specie se non ne siamo consapevoli: è proprio quello che provano tutti, da qualunque parte stiano. « Io ho ragione e loro hanno torto. » « Io so quel che è giusto, loro no. » « Ma come fanno? » e giù ad attribuire colpe.

Dunque, hai ragione quando pensi di avere ragione? Hanno torto, loro, quando dici che hanno torto? Soen Sa Nim amava dire: « Apri bocca e già hai torto ». Eppure tu, noi, tutti quanti, dobbiamo aprire la bocca. E alle volte dobbiamo agire, anche di fronte alla complessità e all’incertezza, perché fanno parte della natura stessa della realtà. Che cosa possiamo fare?

Questo koan è una bella pratica meditativa, una bella pratica politica, anche. Riusciamo a farci andar bene di non sapere, a risvegliarci a qualcosa di nuovo e audace e pieno di immaginazione e salutare, al di là dei confini dei processi di pensiero reattivi, ciechi e altamente condizionati, fuori tiro delle emozioni dolorose, in particolare della paura? Riusciamo a trovare modi di incarnare bontà e vera forza interiore ed esteriore, specie nei momenti di crisi e di difficoltà e, insieme, a lasciar perdere lo sdegno, che corrode e corrompe?

Il fatto stesso di pensare alle cose può innescare, in qualche modo, lo sdegno e l’indignazione. Pensare alle stesse cose in altri modi apre la strada all’immaginazione e alla creatività, all’apertura di cuore, all’azione compiuta in pienezza di mente e di cuore.

Ma il sé è autocostruito e, anche se i fatti sono chiari, spesso non lo è quel che facciamo in una data situazione che scatena il nostro sdegno. « Noi », nella nostra indignazione, possiamo essere tanto ignoranti quanto lo sono loro nelle loro « nefaste macchinazioni », chiunque siano loro e chiunque siamo noi. Forse c’è bisogno di qualcosa di meglio e di più saggio, di più relazionale: un modo di vedere le cose meno dualistico che non reifichi subito quella sensazione di « noi » contrapposti a « loro », la quale va subito a braccetto con il « buono » contrapposto al « cattivo ».

E se in noi l’impulso è così forte che viene su per conto proprio, con grande emozione (anche se sappiamo bene che cosa sarebbe meglio), bisogna che riusciamo ad accorgercene e « starci » e prenderne atto con delicata consapevolezza. Allora forse, e soltanto forse, riusciremo a trovare modi per non farci smembrare dal conflitto fra pensiero e sentimento e per agire fermamente e con saggezza allo scopo di volgere le cose in una direzione di guarigione, che vada dal disagio e dal disequilibrio a un maggiore agio, equilibrio e armonia. In una parola, allora riusciremo a seguire una politica di saggezza e di compassione, nutrita dalla pratica della consapevolezza e della gentilezza amorevole.

Questo significherebbe prendersi cura davvero della cosa pubblica, proteggerla e onorarla; significherebbe impegnarsi a chiedere il massimo da lei e da noi stessi invece che il minimo, fidandosi del fatto che una chiara visione delle cose conduce alla vera sicurezza, e ad un’armonia e un equilibrio durevoli.

Se un uomo attraversa un fiume
e una barca vuota va a sbattere contro la sua,
anche se è un uomo di cattivo carattere
non si arrabbierà molto.

Ma se vede qualcuno nella barca,
gli griderà di stare attento al timone.
Se poi non verrà udito, griderà di nuovo,
e ancora e ancora, e poi si metterà a imprecare.
E tutto perché c’è qualcuno nella barca.

Eppure se la barca fosse vuota
non griderebbe, né si arrabbierebbe.

Se riesci a svuotare la tua barca
mentre attraversi il fiume del mondo,
nessuno si opporrà a te,
nessuno cercherà di nuocerti.

Chuang Tzu (III secolo a.C.)

Tratto da: “Riprendere i sensi”, di Jon Kabat-Zinn

Fonte del Post: http://zeninthecity.org/letture/autori-vari/jon-kabat-zinn-lo-sdegno-non-e-utile/

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