La sofferenza è “memoria”?

  La sofferenza è “memoria”?

Immagino che sarà capitato anche a te…

Ti sei svegliato una mattina, rendendoti istantaneamente conto che il tuo umore aveva qualcosa che non andava: un pessimo modo di iniziare la giornata… oppure, nel bel mezzo delle tue faccende, come dal nulla, uno stato d’animo immotivato ti ha assalito, rovinandoti il resto della giornata… o, ancora, un episodio a cui hai assistito ha fatto sorgere in te un’emozione o una sensazione fastidiosa che, poi, ti ha lasciato con l’amaro in bocca per tutto il giorno…

Cosa è successo? Perché così, all’improvviso? Da dove provenivano le nuvole nere?

Ormai dovrebbe essere noto ai più che il pensiero o, più esattamente, la qualità del pensiero è la diretta responsabile dell’emozione che ad esso segue. In parole diverse, è il pensiero che genera l’emozione conseguente ad esso, la quale è sempre dello stesso “segno” del pensiero che l’ha generata.

Pensieri gioiosi generano quindi gioia, mentre pensieri tenebrosi generano infelicità, in tutte le sue varianti. La sofferenza, però, non è solo questo, non segue solo questo copione… c’è anche altro.

Come negli esempi più sopra, un’emozione potrebbe infatti manifestarsi all’improvviso, persino in assenza del processo del pensiero… quindi? Perché mai accade ciò?

La sofferenza, come qualsiasi altra “cosa” nell’universo, è rilevabile – e misurabile – in quanto emette una ben precisa frequenza elettromagnetica, con lunghezza d’onda ben definita, tipica ed inconfondibile. In altre parole, la sofferenza – come la gioia o l’Amore – ha un “marchio” energetico caratteristico ed inequivocabile.

Ora supponiamo che, per un prolungato periodo di tempo, un essere umano abbia vissuto alimentando continuamente stati d’animo “tossici” – quali paura, rabbia, risentimento, conflittualità, stress, eccetera; in che “radiazione” energetica credi abbiano vissuto le cellule che ne compongono il corpo?

Esattamente nella frequenza tipica di quegli stati… e, nel caso in cui l’esposizione a tale ambiente energetico sia stata prolungata, quello stesso ambiente è diventato, possiamo esserne certi, l’habitat abituale in cui ogni cellula ha vissuto, giorno dopo giorno, magari per anni o decenni. Direi che è fondamentale comprenderlo.

Studi recenti delle neuroscienze hanno già dimostrato che la memoria non è una peculiarità o un’esclusiva dell’attività cerebrale e che la cellula è un organismo completo in sé, dotata dei necessari organi e apparati, con un suo “cervello” ed una sua memoria. Da qui, risulta pertanto evidente come, se non avviene una pulizia, o una purificazione o una guarigione – mettila come preferisci – di questa memoria, il contenuto di tale memoria, se tossico, sarà in grado di generare nuova sofferenza e anche malattia.

Eckhart Tolle chiama questa fenomenologia col nome di “Corpo di dolore”. Possiamo allora dire che il corpo di dolore è memoria… memoria cellulare… per di più, inconscia.

Il pensiero nutre dunque le cellule, che si abituano conseguentemente a vivere in un determinato habitat energetico. Per quanto l’ambiente possa definirsi e risultare tossico – i fumatori lo sanno bene – si instaura una dipendenza per la sostanza intossicante, che si manifesta con il bisogno di reperire ulteriore sostanza… e ancora e ancora.

Tornando ora alle parole in apertura del post… forse, dovrebbe già essere più chiaro il motivo in base al quale, dal nulla e senza una particolare attività del pensiero, in vari momenti possa nascere un sentire sgradevole, con tutti i connotati della sofferenza psichica: si è attivata la memoria cellulare, il corpo di dolore. Non è altro che un’abitudine, cioè una dipendenza, in questo caso… cellulare e, come già detto, inconscia.

La prossima volta che ci dovesse accadere di veder mutare repentinamente – e senza causa apparente – il nostro stato d’animo, consapevoli di quanto esposto fino ad ora, non ci arrovelleremo più il cervello con lo scopo di indagare le origini – giustificate o meno – della nostra sofferenza, bensì realizzeremo che si tratta “semplicemente” della memoria cellulare… cosicché, porteremo l’attenzione alla psico-sensazione dolorosa, ci respireremo profondamente sopra, l’osserveremo in completo silenzio ed essa… non potrà che scomparire nel nulla da cui ci è giunta.

Ma, allora, compreso il meccanismo, saremo indenni dal ripresentarsi di questi “attacchi”?

Direi proprio di no, non funziona esattamente così. La domanda successiva potrebbe quindi essere: “Chi è che vorrebbe che la sofferenza cessasse per sempre?”

Ma questa è un’altra storia.

Con affetto,

Sid… Love*

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