A. H. Almaas: Percepire senza sapere.

Percepire senza sapere.

Il non fare è la non esistenza del fare, ma lo rendiamo qualcosa a cui aspirare, il che può divenire un ostacolo molto sottile.

Una cosa analoga capita a quelli che lavorano esclusivamente su una prospettiva non dualistica della realtà: a un certo punto, cominciano a reificare la non-dualità, che diventa per loro un obiettivo a cui aspirare, da raggiungere. […]

La vera Natura è […] l’aspetto che trascende la mente […].

All’inizio del nostro sviluppo, la capacità di conoscenza concettuale (detta anche capacità cognitiva o abilità discriminante) è rudimentale, quasi inesistente. Essa cresce gradualmente, finché non siamo in grado di riconoscere gli oggetti concreti, dopodiché potremo muoverci verso attività più astratte: le concettualizzazioni mentali, del pensiero.

Ma anche prima di aver tale capacità cognitiva, la vera Natura possiede una consapevolezza. Gli animali hanno consapevolezza, che è ciò che permette loro di reagire. E il fatto che gli uomini la possiedano fin da piccoli ci dice che la vera Natura ha una capacità di essere consapevole ancor più fondamentale della nostra capacità conoscitiva.

Tale capacità è quanto definisco consapevolezza percettiva, o pura, a differenza della consapevolezza cognitiva o conoscitiva. […]

Mentre si sviluppano le componenti cognitive della consapevolezza […] perdiamo gradualmente contatto con la consapevolezza puramente percettiva, o la dimentichiamo. […]

In quanto esseri umani, abbiamo la capacità di percepire senza sapere e non la perdiamo mai. […] Quando la capacità cognitiva sviluppa l’abilità di reificazione, smarriamo il contatto con la consapevolezza pura, percettiva, la sensibilità pura, senza sapere cognitivo.

Non sappiamo che esiste perché ci sembra che sapere e percezione accadano nello stesso momento e non sappiamo distinguerli. Percepiamo qualcosa e la nostra capacità cognitiva registra subito se sappiamo, o non sappiamo, di cosa si tratta.

In realtà, ci sembra che percezione e sapere accadano contemporaneamente, mentre prima percepiamo e poi viene la conoscenza di quel che abbiamo percepito. Se vediamo camminare una persona, […] come minimo sappiamo, grazie alla capacità cognitiva, che è una persona.

Non abbiamo la mente di un bambino, che può vedere una cosa e percepirla con completa immediatezza, come novità. In realtà, abbiamo ancora quel tipo di mente, ma ormai è offuscata, assimilata da quella cognitiva. […]

Ci siamo assuefatti alla convinzione per cui la conoscenza fa sempre parte della percezione. […] Siamo diventati così abituati al predominio della nostra capacità cognitiva da non accorgerci più che la vera Natura ha intrinsecamente una consapevolezza percettiva, indipendente dal sapere cognitivo.

[…] In che modo queste comprensioni sono legate alla nostra pratica di indagine (cioè la pratica meditativa)? […] Noteremo la nostra tendenza a etichettare tutto: «Questo è un pensiero o un sentimento? Questo sentimento è ansia o collera? È un dolore alla testa, una proiezione, un ricordo represso, la rivelazione di una verità essenziale?».

All’inizio del viaggio d’indagine, queste domande sono utili: esse ci aiutano, infatti, a essere consapevoli delle cose di cui avremmo potuto non conoscere l’esistenza. Ecco perché alcuni esercizi di meditazione suggeriscono di etichettare il contenuto della vostra esperienza: perché quest’azione chiarisce ciò che esiste.

Questo assegnare un’etichetta alle cose diventa però anche il terreno su cui si costruisce la reificazione […]. Prima che lo sappiate, sarete invischiati nell’oggettivazione. […] L’affibbiare un’etichetta è utile per chiarire la nostra esperienza, ma solo fino a un certo punto. […]

La nostra capacità di conoscere può passare da un sapere reificato e discorsivo a una conoscenza più immediata […]. Diventando più sicuri di questa capacità conoscitiva, non avremo bisogno di dare un nome alle cose […]. Allora sarà possibile rilassarsi, fino al punto in cui sparirà la stessa capacità cognitiva.

Non si renderà soltanto inutile assegnare un’etichetta alle cose: a un certo punto non sarà più necessario nemmeno il riconoscimento, almeno non sempre.

Dopo un periodo di meditazione, quando saremo calmi, nella presenza e nella chiarezza, non ci sarà bisogno di etichettare né di conoscere qualcosa in particolare. Potremo trovarci in un posto dove non riconosceremo specificamente nulla, ma avremo sempre chiarezza, una consapevolezza luminosa e trasparente. […]

Torneremo alla condizione primordiale, originaria, quella precedente allo sviluppo e al sopravvento della capacità cognitiva.

Tratto da: “La pratica della presenza”, di A. H. Almaas

Fonte: http://www.lameditazionecomevia.it/almaas4.htm

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