Io sono la mia fine.

Io sono la mia fine.

A chi appartengono questi pensieri?

Mi ricordo di me?

Io chi?

Quale sarà il prossimo pensiero?

Con questi brevi interrogativi, puoi esserne certo/a, il pensiero si “incarta”, o, se preferisci, si arresta spontaneamente, almeno per qualche istante.

Non che siano formule magiche, ma, come per magia, sortiscono l’effetto di disorientare la mente e una mente disorientata, per almeno qualche attimo, cessa di produrre dialogo interiore.

Quell’istante, inoltre, scalfisce molte certezze. Prima tra tutte, la certezza di potersi trovare attraverso l’uso delle parole. E’ come sbirciare attraverso il buco della serratura di una porta; non ci darà la possibilità di osservare un panorama particolarmente ampio, ma sarà pur sempre un assaggio di ciò che si cela al di là di quella stessa porta.

Ti accorgi che c’è altro, oltre il pensiero… ti accorgi che continui ad esistere, pur in assenza di una “testimonianza” verbale… ti accorgi che non è il pensiero che fa di te ciò che sei…. ti accorgi che non sono le parole che ti possono descrivere.

Io, Sid, nasco insieme alla voce che sento nella testa e muoio quando quella stessa voce cessa. Sono come Shiva, la divinità… creatore e distruttore di me stesso, di quel me stesso che, guardandosi allo specchio, si riconosce nell’immagine di un volto, di un corpo-mente, riflessa da quella superficie così liscia e lucida.

Senza quello straordinario manufatto – lo specchio – non mi è possibile osservare il “mio” volto, non mi è possibile scrutare nel profondo dei “miei” occhi; e già questo è un paradosso… in quanto gli occhi, il “mio” preziosissimo e sofisticatissimo strumento per guardare il mondo, nulla possono fare per osservare se stessi o il volto in cui sono incorniciati. Non fa ridere? Sì che lo fa!

Dunque… riconoscersi. Riconoscersi? Ma cosa significa riconoscersi?

Per prima cosa, se una certezza esiste, è che, per riconoscersi, gli occhi non ci serviranno a nulla. Non è che ci dobbiamo piazzare davanti ad uno specchio e restarci vita natural durante. Allo stesso modo, anche gli altri organi di senso saranno ugualmente inutili allo scopo.

Ma se ci chiediamo: “Com’è Essere?” è indubbio che quel “com’è?” può sortire un effetto inaspettato. Quel “com’è?” si palesa come una sensazione inequivocabile, auto-evidente, sempre uguale a se stessa, indipendente da ogni circostanza esterna ed interiore, persino dalle emozioni, con le quali – unitamente al corpo-mente – siamo soliti identificarci. Non è certo un segreto.

Ma il “com’è?” non può essere una tecnica, non può essere una pratica, altrimenti diventa un “fare” allo scopo di “ottenere” … e non è quello che interessa. E’ semplicemente “curiosità”. Una pura, semplice, innocente, fanciullesca curiosità … come quella di un bambino, appunto. Senza scopo, senza desiderio, senza preconcetti, senza giudizi, senza la necessità di giungere ad una qualsiasi conclusione.

Secondo te, si può fare? Esiste in te una siffatta curiosità?

Il “mio” pensiero dice: “Voglio scoprire com’è essere, sono proprio curioso”“Com’è essere?”, ripete la voce nella testa… si crea un’attenzione… Silenzio… nessuna risposta… e, solo un attimo dopo, la voce potrebbe esclamare: “Oddio… non ci sono più”. Un fremito potrebbe percorrere il nostro corpo, una sensazione di timore si potrebbe affacciare nella percezione… ma che succede?

Per un istante abbiamo contemplato la morte… in vita. Siamo morti a noi stessi… siamo stati gli artefici della “nostra” stessa fine. Ma, in verità, non è affatto la fine, bensì l’inizio di un lungo viaggio al di là di quella famosa porta. Ora sappiamo qual è la chiave che può aprirla.

Io Sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. Se trovi il principio, lì troverai anche la fine.

Fai buon viaggio, altro me stesso.

Con affetto, Sid… Love*

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