Uscire dall’identificazione.

Uscire dall’identificazione.

L’aggressione psicologica è l’occasione per mostrare le nostre identificazioni. Nelle arti marziali qualcuno mi attacca e io studio il modo di lasciar passare la sua forza, senza creare delle rigidità. Allo stesso modo, quando mi sento aggredito psicologicamente, ho l’occasione di indagare le mie insicurezze psicologiche.

Parto da un presupposto provocatorio: nessuno mi aggredisce realmente. In qualcuno stimolerò l’amore e in qualcun altro l’odio, ma non riguarda me. Quando ero fidanzato a diciotto anni e sono stato lasciato, questa cosa mi ha sconvolto, mentre oggi mi lascerebbe indifferente.

Non è il gesto o l’azione ad essere un attacco, ma la mia rigidità a renderlo doloroso. Questo nasce dall‘identificazione. Sentirmi giudicato, mancato di rispetto, aggredito moralmente o verbalmente, avviene perché ho creato un’idea di me che devo difendere.

Questa pratica non è per tutti; chi ha bisogno di lottare ancora, giustificando le sue identificazioni, chi è molto sicuro di essere nel giusto, allora può smettere di leggere questo articolo.

Se mi prendo per italiano, mi sentirò attaccato quando qualcuno dirà che “gli italiani sono imbecilli”. La sensazione di essere attaccato nasce dalla pretesa di essere un italiano. Allo stesso modo, posso prendermi per una persona furba, intelligente, brutta, sfigata, di bell’aspetto e rispettabile. Qualsiasi idea conservo di me sarà lo scudo che userò per difendermi e la spada che userò per attaccare.

Un ricercatore che vuole scoprire le sue difese deve dire grazie alla sensazione di sentirsi attaccato, perché rivela i suoi limiti. Questo vale per tutte le situazioni che ci fanno soffrire e che ci mostrano come pretendiamo di non soffrire o non provare paura.

Fin quando si ha bisogno di identificarsi con un gruppo spirituale, una religione, un corpo, un ruolo, una ideologia, un club, questa scoperta non è accessibile. Si tratta solo di rassicurazioni per non vedere la paura di non essere niente.

Il meccanismo può essere scoperto più volte e si può andare sempre più in fondo. E’ relativamente più facile non prendersi per il salvatore del mondo e un po’ meno per il padre dei propri figli. Un giorno, quando si capirà che non si possono possedere i figli, si passerà alla pretesa di essere i padroni del proprio corpo e così via.

Ognuno cammina con le sue illusioni e ciascuno ci percepisce secondo il suo punto di vista. Per il mio cane sono la persona più buona del mondo e per il cane sotto casa una minaccia.

L’età e il passare del tempo, uniti alla consapevolezza di questi meccanismi, porterà naturalmente a questo distacco. Ogni cosa richiede il suo giusto tempo. C’è chi muore credendosi un avvocato e chi, già a vent’anni, scopre di essere libero dalle identificazioni; è un percorso soggettivo ed è sufficiente essere coscienti delle proprie rigidità, senza cercare di cambiarle.

Più giustifichiamo, spieghiamo, commentiamo, cerchiamo colpe e colpevoli, meno queste verità ci saranno accessibili. Nel momento in cui ci sentiamo aggrediti, proviamo a vivere con la sensazione che provoca in noi, senza tentare di giustificarla. Essa, pian piano, si dilaterà e sarà sempre meno contratta, proprio perché non troverà più solidità e conferme psicologiche.

Inizialmente ci vorrà del tempo: dopo l’insulto è necessario ritirarsi con sé stessi, per lasciarlo scivolare. Più in là, invece, sarà più facile ‘lasciar passare’ l’aggressione nel momento stesso in cui si verifica. Questo non impedirà di agire, tutt’altro: sarà un’azione anziché una reazione.

Quando ci attaccheranno constateremo come, in passato, avremmo voluto strangolare quella persona mentre oggi semplicemente ne sorridiamo. Questa pratica non può essere falsata. Se si è sinceri, ci si rende conto che la nostra indifferenza non è altro che una reazione repressa. E’ necessaria onestà e voglia di andare oltre le proprie false idee su se stessi.

Gabriele Pintaudi

Fonte: https://www.silendi.it/uscire-dallidentificazione/

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