C’è solo LUI … eppure …

C’è solo LUI … eppure …

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Dio è Tutto quello che esiste. C’è solo LUI. Non è solo proclamato a voce alta da tutte le religioni, ma è anche la prima visione – anche se non verbalizzata, ma solo sentita – del piccolo infante, ancora incapace di verbalizzare o di distinguere quello che è il suo corpo e quello che sta attorno a lui. Sua madre non si è ancora separata da lui del tutto. Egli la ritrova immediatamente attraverso il cordone ombelicale del respiro, che si sostituisce a quello di pelle e sangue che lo aveva legato per nove mesi al grembo materno.

Eppure, quando ti battezzano con l’acqua benedetta dal divino Essere, ti assegnano un nome proprio, ti educano affinché diventi un singolo individuo, ad avere una tua personalità, creando allo stesso tempo non solo un mondo esterno a te, separato dalla tua percezione, ma anche quelli che poi consideri “altri”, distinti da te, diversi e forse anche nemici.

L’unità di un Dio unico che tutto include, anche te stesso, si fraziona in infinite particelle, che si amano o si combattono, creano il bene e il male e tutta la serie di opposti che caratterizzano il nostro quotidiano. Le guerre, di cui si sente parlare o si vivono ogni giorno, sono già nel nostro corpo, nelle cellule e, soprattutto, nei nostri pensieri, prima asse di divisione.

Il senso di essere: appena pronunciato, invece di includere tutto ciò che ci circonda, crea divisione: ecco l’IO, che ci dovrebbe accomunare tutti, invece, ognuno comincia a credere di avere un IO personale, a cui si attaccano nomi e oggetti, (che diventano proprietà da difendere), mentre gli altri IO, che dovrebbero logicamente essere la stessa cosa, diventano invece separati, altri, quasi un pericolo improvvisato.

Ecco allora addensarsi le nubi delle malattie, dei dolori, delle fratture, sia fisiche sia psichiche, provocate da questa improvvisa rottura e poi rinsaldate dalle memorie spesso inconsapevoli. Il paradiso si è chiuso, il peccato originale è compiuto.

Continua il nostro viaggio nell’educazione infantile. Intendiamoci, è naturale imparare a discernere o identificare ciò che ci circonda, distinguerlo sì, ma non si tratta di vederlo come totalmente separato o alieno. Il piccolo comincia a vedersi allo specchio e non si riconosce ancora e allora, al contrario, bisogna insegnargli che “quel bambino che vede riflesso è invece … lui stesso”.

L’indottrinamento comincia a dare i suoi frutti e quando vede un bambino che prende un “suo“ giocattolo e sembra portarselo via, urla e le lacrime sono di rigore. Ci sono però eccezioni e spesso si vede un bimbo che dà il suo gioco a un altro e sembra contento.

È possibile che il bimbo sia rimasto ancora in un senso di unità con l’ambiente o invece che si sia fatta strada un’altra lezione successiva, ossia che si deve essere gentili con questi ”altri soggetti “ e qualche volta ci scappa perfino un bacio. Dopo la scissione, ecco la nozione di compassione che cerca di riunire ciò che ormai è considerato come diviso e separato.

Il nome “altruismo” è significativo: nomina gli ”altri”. D’accordo, sono figure al tuo esterno, non sono te, ma devi trattarle con amore. Per alcuni sembra facile, per altri è impossibile. L’intelletto si è fatto strada e ha messo i suoi inalienabili paletti. Invisibili scatole e cassetti si sono formati nel sistema nervoso, annullando totalmente l’egemonia dell’unità primitiva.

L’ego, tanto vantato da psicologi e reso importante dalla società in cui viviamo, per una salute mentale, ha occupato definitivamente il trono che gli hanno riservato generazioni di famiglie, anche a scapito di quanti sono vicini o familiari. “Ha una bella personalità, è ambizioso, riesce bene nella sua professione, vince trofei, guadagna milioni … e così via.”

Gli ”altri”, ai meno fortunati, dall’intelletto un po’ offuscato, a quelli che cercano con la droga di uscire dalla stretta sociale, ai senza tetto o senza stima di sé, ai malati, si guarda con … compassione, ma felici di non appartenere a quella categoria: un modo, ancora, di separare ciò che non andrebbe diviso.

Ecco che molti, che non usano droghe euforizzanti o che annullino le frontiere ormai solide tra persone e ambiente, cominciano a chiedersi che cosa sia la verità della loro vita e del mondo. Forse qualche vago ricordo dell’infanzia senza confini precisi, o il senso di appartenenza alla natura circostante o altro pungolo mnemonico, inizia a scalfire questa convinzione.

Incontrano un saggio, un maestro, o un filosofo che li persuade che l’ego è il male assoluto! Non solo, ma se per caso questa sensazione di appartenenza a tutto il creato è rimasta visibile nel loro modo di vivere, attraverso percezioni extra-sensoriali, premonizioni, senso di calore alle mani, che guarisce da alcuni mali e intuizioni medianiche simili, viene di nuovo messo al bando, come egocentrismo, vanità o, peggio, come stregoneria o simile, il che preclude alla vera spiritualità che non ammette giustamente l’esistenza di un ego!

La via al Sé, all’Assoluto che siamo, è normale che non possa ammettere poteri egoistici che precludono alla riunione. Ma, allora, dove va tutto l’indottrinamento di mesi e anni per creare questo nocciolo falso cui ci siamo identificati, per appartenere appunto alla società, che consideriamo come una madre che ci protegge, ma ora ci respinge?

Per oltrepassare questo modo frammentato e falsamente egocentrico, si tratta di verificare questo processo nel vissuto:

  • Prima di tutto ripulire le forme più dolorose delle memorie irrisolte, dal concepimento in poi (vasanas, samskaras).
  • Rendersi conto, effettivamente, che la creazione che appare così vasta e diversificata, fatta di persone, oggetti, paesaggi è la produzione del nostro sistema neuronale e proiettato su uno schermo immaginario.
  • Liberarsi dai concetti e, infine, da quello principale che è l’IO-SONO: quest’ultimo è quel senso d’infinito che l’infante vive nei primi mesi di vita, dove tutto è sé stesso, come nel ventre materno in cui era tutt’uno con la gestante.

Un altro capitolo sono le cosiddette malattie mentali, come la schizofrenia. Semplificando molto, si può dire che l’individuo rimane, da un lato, allo stadio di unità col tutto, poiché quello che si è rimpicciolito in un ego funzionante socialmente gli ha procurato sofferenze enormi. Avviene la cosiddetta scissione, che è da anni curata in cliniche con medicine soppressive.

Una volta, uno psichiatra aperto alla relazione spirituale dell’uomo, trovandosi davanti a un paziente che viveva normalmente, ma affermava essere certo che qualunque cosa egli facesse era Dio che agiva, alla fine si convinse che era il paziente ad aver ragione e s’inoltrò nella ricerca spirituale che gli confermò la questione. Scoprì appunto che è la coscienza ad agire e non uno pseudo-ego.

In un piccolo opuscolo la dottoressa Maureen Roberts descrive bene la situazione e ne riassumo qualche frase saliente:

“Il sé dissociato non ha bisogno sempre di essere riparato. È come se la psiche in crisi, invece di mettere tutte le uova nel paniere, per proteggersi investe la sua energia in varie personalità, ma funziona bene nel quotidiano. Nella mitologia (che avvalora gli archetipi di cui siamo fatti) si parla spesso di smembramento di Osiride e di Dioniso, Psiche deve scendere nel regno dei morti, Prometeo si fa togliere il fegato dall’aquila di Zeus, Medusa dalle mille teste è decapitata. La psiche, vuol ritrovare l’unità dell’ego fisso alla quale era stata educata, aborre la frammentazione, ma deve mettersi da parte, lasciar andare l’identità stabile per dare il posto al Sé come centro”.

(n.d.tr Gli archetipi o dèi della mitologia sono le nostre forze arcaiche sempre in atto, che possono diventare distruttive se non riconosciute. Ecco perché nell’antichità e in molte culture si fanno offerte, pellegrinaggi e devozioni a questi elementi che sono di fatto interni a noi e che è bene riconoscere perché non diventino avversari pericolosi. Se si adora Kali, che divora uomini o altre divinità terrificanti in varie culture o come nei templi tibetani, non è per il gusto dell’orrido, ma per accogliere in sé le forze non riconosciute. Ombre negative e proiezioni devastanti sono così integrate e formano un ego arricchito, piuttosto che sconnesso o adeguato a norme sociali.)

James Hillman, fondatore della psicologia archetipale, afferma che vi è grande differenza tra terapia della psiche e dei suoi labirinti e terapia-disciplina spirituale di chi cerca l’integrazione nel Sé, nell’Unità iniziale.

J.Campbell sostiene che nelle culture sciamaniche lo schizofrenico è un visionario, un mistico ed è messo in valore e non addomesticato o temuto e riempito di medicine. In occidente si cerca di adattarlo alle norme culturali, per proteggere se stessi da qualcosa che la scienza ufficiale non riesce a capire o controllare.

Si priva quindi la persona dell’unico modo di apprendistato che molti schizofrenici considerano di capitale importanza. Lo sciamano che ha un’esperienza schiacciante psicologicamente, rientra totalmente in sé stesso, mette da parte l’ego e sprofonda negli abissi delle memorie collettive dell’inconscio che lo ”smembrano” e al suo ”ritorno” può aiutare quelli che hanno sofferto come lui.

C.G. Jung ne è un esempio ben noto. Per la psicologia moderna, questi individui schiacciati dal dolore, sono considerati malati e li si cura con dei cerotti per adeguarli alla società – soprattutto a causa della paura del medico – quando invece è proprio il dolore che provano a essere un viatico per una nuova vita, se il terapeuta è in sintonia.

Anche Stanislav Grof (“Oltre il cervello”1985) parla di terapeuti-sciamani che, avendo vissuto queste esperienze dolorose di morte-rinascita ed essendone guariti, spesso in solitudine, non sono considerati nella società occidentale, che accomuna queste esperienze a malattie genericamente “mentali” da sopprimere.

Il paradosso è che molti individui che sperimentano queste fratture tra ego cosciente e forze archetipiche non riescono a vivere normalmente e sono messi al bando.

Jung, ma anche Castaneda e il brujo yaqui don Juan, affermano che è importante avere un ego stabile per poter sopportare il nagual, il Sé Assoluto che “siamo” e funzionare nel mondo, relativo, ma abituale. (n.d.tr.: l’ego stabile è quello che ha integrato la parte ombra e può quindi andare oltre la relatività mondana e rompere il guscio del proprio sogno.)

Una paziente schizofrenica in una clinica, oppressa e addormentata dai numerosi e potenti medicinali somministrati, un giorno smise di prenderli e decise di partire per luoghi solitari in Scozia, dove col suono del tamburo e con persone a lei vicine, si guarì completamente, integrando l’esperienza invece che bloccarla. Disse che la vera cura per lei fu di immergersi nell’esperienza, qualunque fosse la forza spesso eccessiva, piuttosto che arrestarla.

Per riprendere il discorso iniziato, il nostro ego è un pacco di memorie, ormai è risaputo, si tratta di accoglierlo certamente, pur considerandolo un passaggio, un ponte per il … ”ritorno a casa” che, in realtà, non abbiamo mai lasciato.

Abbiamo creduto di fare viaggi magnifici o paurosi, di essere dei piccoli individui, conformi a dittature inventate di cui accusiamo “altri”, quando in realtà facciamo tutto noi stessi, creando questo film, a volte horror, a volte esilarante o splendido, che il nostro sistema s’ingegna costantemente a fare dalla nascita alla morte. Esattamente come nel sogno: siamo il lupo che ci vuol divorare e la vittima.

Domandiamoci sempre: “CHI nasce?” Se si verifica che la nascita è ancora un concetto passeggero, come possiamo temere la morte, altro concetto d’identificazione errata. Il punto-chiave è NON identificarsi né all’ego, né al concetto di essere, ma per questo è necessario essere vigili, non lasciarsi prendere in giro dall’intelletto castrante e sciogliere il nostro sale, poco alla volta, nel mare della coscienza.

È solo dopo questa totale immersione nel senso di essere, senza fronzoli intellettuali, ma nella purezza del solo sentirsi vivi e uniti a ogni goccia o filo d’erba, che l’ultimo passo per il totale risveglio è possibile.

Come dice Steve Jourdain: “È necessario sognare già bene, per poter avvicinarsi al tetto del cielo e facilmente sfondarlo e passare oltre lo specchio”.

La Realtà è essere e non-essere: quando la mente tace, tutte le identificazioni si frantumano, per sciogliersi definitivamente nella nostra vera natura, sempre presente e identica.

Isabella di Soragna

Fonte: http://www.isabelladisoragna.com/articoli/ce-solo-lui-eppure/

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