Charlotte Joko Beck: Problemi o Gioielli?

Vedere i propri problemi come gioielli.

“Più pratichiamo, secondo Charlotte Joko Beck, meglio cominciamo a capire che le pietre aguzze sulla nostra strada sono in realtà gemme preziose che ci aiutano ad addestrarci nel giusto modo di vita”.

«Di tanto in tanto uno dei miei studenti ha una piccola esperienza di sfondamento, una piccola realizzazione o kensho. Vi sono centri zen che puntano su esperienze e danno loro il massimo risalto. Qui non è così.

Sono interessanti; se, per un istante, entriamo nell’assoluto presente, avviene un cambiamento. Poi il cambiamento non dura, e ricadiamo nel vecchio modo di agire. Ma per un po’ (un secondo, un’ora o qualche settimana) tutto ciò che costituiva un problema non lo è più. Spiacevoli disagi e conflitti di vario genere cessano di colpo. Per un attimo la vita si è rivoltata e vediamo le cose così come sono. Di per sé tale esperienza non significa molto, ma può indicare il modo per sempre più nell’assoluto presente.

Essere nel presente è lo scopo della seduta e della pratica in generale: ci fa essere più saggi nei confronti della vita, più compassionevoli, più orientati verso ciò che va fatto. Diventiamo più efficienti sul lavoro. Sono risultati meravigliosi, ma non possiamo sforzarci di raggiungerli o di farli accadere.

Tutto ciò che possiamo fare è predisporre le condizioni necessarie. Dobbiamo accertarci che il terreno sia ben lavorato, ricco, smosso e fertile, di modo che, se il seme cade, germogli rapidamente. Compito dello studente non è andare a caccia dei risultati, ma preparare la via. Come dice la Bibbia: “Preparate la via del Signore“. Ecco il nostro lavoro.

In un certo senso, il nostro cammino non è un cammino. Il fine non è arrivare da qualche parte. In realtà non c’è nessun grande mistero, il nostro compito è semplice. Non dico che sia facile, perché il ‘sentiero’ della pratica non è una strada pianeggiante. È ingombra di sassi aguzzi che possono farci inciampare o ferirci i piedi.

Anche la vita è un rischio. In genere, sono proprio i rischi che portano le persone in un centro zen. Il sentiero della vita sembra essere fatto di difficoltà, di cose che creano problemi. Più pratichiamo, meglio cominciamo a capire che le pietre aguzze sulla strada sono in realtà gemme preziose che ci aiutano ad addestrarci nel giusto modo di vita.

Ognuno ha le sue pietre. Uno può avere disperatamente bisogno di più solitudine e un altro di più compagnia. La pietra aguzza potrebbe rivelarsi lavorare a fianco di una persona sgradevole o convivere con una persona veramente difficile. Pietre aguzze possono essere i figli, i genitori, chiunque.

Il vostro sasso può essere non sentirvi bene, perdere il lavoro o trovarne uno nuovo che vi spaventa. Ci sono pietre aguzze dappertutto. Ciò che cambia con anni di pratica è la scoperta di qualcosa che prima non conoscevamo: non vi sono pietre aguzze, la strada è costellata di diamanti. Conoscete altre pietre aguzze che sono in realtà diamanti?

Studente: La morte di mio marito.

Studente: Le scadenze.

Studente: La malattia.

Joko: Bene. Che cosa ci fa capire che i sassi della vita sono in realtà diamanti? Quali condizioni ci mettono in grado di praticare?

Se siamo nuovi alla pratica, è impossibile vedere un trauma come un dono, una pietra aguzza come un diamante. In genere è meglio iniziare a praticare quando la nostra vita non è troppo in disordine.

Ricordo molto bene che il primo mese dopo la nascita di un figlio non è un buon momento per iniziare a praticare. È molto meglio iniziare in un periodo relativamente tranquillo e in condizioni di salute abbastanza buone. Una salute vacillante non esclude la pratica, ma una malattia grave rende impossibile iniziarla. Buone condizioni fisiche sono d’aiuto, perché la pratica richiede molto dal corpo.

Più pratichiamo, meno questi requisiti sono importanti. Ma, se all’inizio non ci sono, i sassi diventano troppo grandi. Non riusciamo a trovare il modo per praticare. Se siamo stati alzati tutta la notte perché il bambino piangeva e abbiamo dormito solo due ore, non è un buon momento per darci allo zazen. Se siamo ammalati o depressi, non è un buon momento per iniziare.

Ma, più praticheremo, più le difficoltà della vita saranno viste come gioielli. I problemi ostacoleranno sempre meno la pratica, anzi, la favoriranno sempre più. Invece di sentire la pratica troppo difficile, di pensare che abbiamo troppi problemi, vediamo i problemi come gioielli e ci impegniamo a stare con loro in un modo che prima non ci sognavamo neppure.

Nei colloqui con gli studenti vengono sempre a galla questi cambiamenti: “Tre anni fa non sarei mai stato in grado di affrontare questa situazione, ma ora…”. È il rivoltare il terreno, il prepararlo. È necessario perché mente e corpo si trasformino davvero. Non si tratta del fatto che i problemi scompaiono o che la vita ‘migliori’, ma la vita stessa si trasforma pian piano e le pietre aguzze che odiavamo diventano gioielli bene accetti.

Forse non esultiamo quando le vediamo profilarsi, ma apprezziamo l’opportunità che ci offrono e perciò le accogliamo invece di scansarle. È la fine dell’abitudine a lamentarsi della vita. Anche quel tale particolarmente ostico, che ci critica, che non rispetta Ie nostre opinioni, ha qualcuno o qualcosa che costituisce per lui una pietra aguzza. Questa pietra è preziosa, un’opportunità, un gioiello da cogliere.

Nessuno vede il gioiello immediatamente, nessuno lo vede totalmente. A volte lo vediamo in un’area e non in un’altra. A volte riusciamo a vederlo, altre volte non ci riusciamo. Oppure possiamo rifiutarci di vederlo, forse non vogliamo averci niente a che fare.

Comunque, siamo sempre alle prese con questo problema fondamentale. Poiché siamo umani, in genere non vogliamo saperne niente. Perché? Perché alle prese con esso significa vivere aprendoci alla difficoltà invece di eluderla.

In genere tentiamo di sostituire al problema qualcos’altro. Se, ad esempio, non ne possiamo più dei nostri figli, ci piacerebbe prenderne altri nuovi. Anche se vi siamo molto attaccati, cerchiamo modi sottili per ‘restituirli’ invece di stare con la realtà di quello che sono. E facciamo lo stesso con gli altri problemi: abbiamo tanti modi sottili per restituire quasi ogni cosa o per scegliere di non affrontarla.

Stare alle con la realtà della vita fa parte dell’interminabile preparazione del terreno. A volte possiamo preparare bene un pezzetto di piccole intuizioni, momenti che ci aprono un varco. Ma rimangono ettari di terra ancora incolta, e perciò dobbiamo lavorare ad aprire la nostra vita sempre di più. Questa è la cosa importante.

La vita umana dovrebbe essere come un voto, dedicato a scoprire il senso della vita. In realtà il senso della vita non è complicato, ma ce lo nascondiamo con il nostro modo di considerare le difficoltà. Iniziare ad accorgercene, scoprire che i sassi aguzzi sono gioielli, richiede una pratica estremamente paziente.

Niente di tutto ciò ha a che fare con il giudizio, con l’essere ‘buoni’ o ‘cattivi’. Attimo per attimo diamo il meglio di noi e quello che non vediamo non lo vediamo. Questo è il fulcro della pratica: allargare lo ‘spioncino’ in cui ogni tanto guardiamo, farlo diventare sempre più grande. Nessuno vi guarda continuamente e non certo io. E così continuiamo ad andare a curiosare altrove.

In un certo senso la pratica è piacevole. Guardare la mia vita con sincerità è difficile, umiliante, scoraggiante, ma in un certo senso è piacevole perché è vivo. Vedere me stessa e la mia vita come siamo davvero, è una gioia. Dopo aver tanto lottato, evitato, negato e svicolato, stare per un secondo con la vita così com’è dà una profonda soddisfazione. La soddisfazione è il nostro vero centro.

Chi siamo va al di là delle parole: solo questa forza vitale che si manifesta continuamente in ogni genere di cose interessanti, nel nostro dolore e nelle nostre battaglie. È un compito insieme spaventoso e salutare. Ed è questo il significato di preparare il terreno. Non diamo troppo peso ai piccoli momenti, alle aperture che possono prodursi. Se il nostro terreno è fertile e ben lavorato, qualunque cosa vi seminiamo germoglierà.

Conducendo pazientemente questo lavoro, arriviamo a un diverso senso della vita. Di recente mi ha telefonato uno studente e mi ha detto: “Non posso crederci. La mia vita è quasi sempre piacevole”. Sì, ho pensato, ottimo, ma… la vita è piacevole. Una vita piacevole include l’angoscia, la delusione, il dolore.

Queste esperienze fanno parte del corso della vita. Vanno e vengono, ma se le accettiamo il dolore si dissolve infine in qualcos’altro. Se invece ci lamentiamo, ci induriamo e ci irrigidiamo (ed è quello che vorremmo fare), conosceremo ben poco piacere. Se siamo stati consapevoli del processo del vivere, compresi i momenti che odiamo, e siamo consapevoli dell’odio (“Odio farlo, ma lo faccio lo stesso”), questa consapevolezza è la vita stessa.

Stando con la consapevolezza non abbiamo sentimenti di reazione: lo facciamo e basta. Allora, per una frazione di secondo, vediamo: “È tremendo, ma è anche bello”. Andiamo avanti, prepariamo il terreno. E questo è sufficiente.»

Tratto da: “Zen quotidiano“, di Charlotte Joko Beck

Fonte: https://zeninthecity.org/meditazione-zen/charlotte-joko-beck/vedere-i-propri-problemi/

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