Mauro Bergonzi: In barca nella nebbia.

In barca nella nebbia.

Domanda: Mi spieghi che cosa intendi per ‘meravigliosa unità del Tutto’, di cui parli spesso?

Mauro: Mentre guardi un fiume, ti accorgi che la sua acqua assume infinite forme diverse: c’è un gorgo qui, che ti sembra separato da un altro lì e così via. A un certo punto decidi di ‘catturare’ il gorgo più vicino con un secchio: ma appena lo fai, si dissolve e ti ritrovi con un secchio d’acqua stagnante. La rigetti nel fiume ed ecco che di nuovo comincia a scorrere, formando mulinelli.

Allora ti rendi conto che tutti questi gorghi sono inseparabili dal fiume, che non esistono come entità isolate, che sono la semplice azione di un’unica corrente d’acqua: ogni gorgo è il modo in cui si manifesta in quel punto l’indivisa corrente del fiume.

C’è un’unica cosa: l’acqua del fiume. I gorghi sono solo azioni del suo movimento incessante. Questa è l’unità del Tutto.

Ma, pur sapendo che il gorgo non esiste come entità separata, pur sapendo che c’è sempre solo la corrente del fiume, tuttavia non smetti mai di ammirare la magnifica varietà di innumerevoli mulinelli che appaiono tutti diversi tra loro, ciascuno con le sue caratteristiche uniche e individuali.

Questa è la meraviglia dell’unità del Tutto.

D.: Questa unità del tutto non la ritrovo nel comportamento degli esseri umani: in maggioranza individualisti e ognuno per la sua strada.

Mauro: Il modo in cui vediamo gli altri è un riflesso di come vediamo noi stessi. Guarda in profondità chi sei tu e gli altri ti appariranno completamente diversi.

D.: Non sono d’accordo su tale diceria: io non mi vedo egoista, meschino ed ottuso, come tanti che mi circondano.

Mauro: Tu vedi te stesso come un io separato e così facendo la mente ti giudica buono o cattivo, ottuso o intelligente, egoista o altruista. Proprio per questo, vedi anche gli altri come isolati da te e la mente li giudica buoni o cattivi, ottusi o intelligenti, egoisti o altruisti.

Chi crede di scorgere un io separato, vedrà intorno a sé soltanto io separati e non potrà evitare i giudizi del pensiero e un senso di profonda solitudine.

D.: Sono tutti quelli intorno a me che si comportano in maniera individualista e si sentono separati l’uno dall’altro, ed in questo comportamento perverso anch’io vengo trattato come ‘l’altro’. Sono gli altri che mi fanno sentire così!

In tale situazione come faccio a sentirmi tutt’uno?

Mauro: Sempre ‘io’ e gli ‘altri’, ‘io’ e gli ‘altri’… Ti accorgi di come questa separazione tracciata dal pensiero sia una continua fonte di sofferenza?

Se invece ritorni a dimorare nel puro e semplice senso di esserci (sempre qui, a portata di mano), ogni cosa si risolve da sé, perché questa è la base che condividi con tutti, buoni o cattivi che siano, prima che il pensiero intervenga a tracciare le sue tormentose divisioni.

Perché ci sia un conflitto, bisogna essere in due. Se qualcuno si sente in conflitto con te, mentre tu invece no, le tue azioni tenderanno ovviamente a impedirgli di farti del male, ma da esse emanerà solo pace.

A questo proposito i taoisti raccontano una parabola: Un barcaiolo si trova nella nebbia, lungo il fiume. A un certo punto, si accorge che la sagoma vaga di una barca sta venendo dritta verso di lui, contromano. Grida all’altro barcaiolo di scansarsi, ma non riceve risposta. La barca continua a puntare dritta contro la sua. Il barcaiolo va in collera e comincia ad inveire contro l’altro, ma invano.

Quando l’altra barca giunge più vicina e diviene ben visibile, il barcaiolo si accorge che è vuota: nessuno la guidava, si è solo sciolta dagli ormeggi per via della corrente. Allora tutta la rabbia del barcaiolo svanisce.

Quando pensiamo che gli altri abbiano un ‘io’ separato che li guidi, prendiamo tutto sul piano personale e restiamo in balia della nostra rabbia.

Quando li vediamo come barche vuote, che seguono semplicemente la corrente, ovviamente li evitiamo, ma niente turba la nostra pace.

D.: Credi che quando una persona ne aggredisce un’altra non sia cosciente, non sia guidata da un suo io? Continui a dire che non c’è un io, ma questo assunto proprio non lo comprendo: quando agisco, sono io che agisco col mio ‘io’, fatto di coscienza e di pensieri, oppure no?

Mauro: L’errore sta proprio nel chiamare ‘io’ un unico ‘pacco’, dove hai messo insieme sia i pensieri, sia la coscienza.

Coscienza e pensieri non sono omologabili allo stesso livello, come non lo sono lo schermo e il film che ci proietti sopra. La coscienza percepisce i pensieri, mentre i pensieri non percepiscono proprio niente: semplicemente appaiono e scompaiono alla luce della coscienza.

Senza la coscienza, i pensieri non possono apparire, mentre la coscienza senza i pensieri fa tante altre cose: sente odori, sapori, colori, percezioni fisiche, ecc.

La coscienza c’è sempre: prima, durante e dopo che un pensiero si è manifestato. Come puoi chiamare con una sola parola (‘io’) due cose poste su livelli così diversi?

Il tuo errore è che identifichi la coscienza con i pensieri, finendo per sentirla loro ‘prigioniera’. La situazione è opposta: i pensieri appaiono e scompaiono nella coscienza, che resta sempre libera, proprio come il cielo è sempre libero dalle nubi, le quali non possono mai ostruirlo, perché sono fatte di cielo.

Non c’è un ‘io’ che ‘produca’ i pensieri e cerchi di controllarli o di lasciarli andare. Tutte le azioni che attribuisci alla coscienza (controllare, lasciar andare, scegliere, decidere) sono solo altri pensieri, uno spontaneo e impersonale movimento che appare e scompare nella coscienza.

Il tuo problema è che cerchi di capire attraverso il pensiero qualcosa di troppo semplice, immediato, evidente e fondamentale perché la mente possa ingabbiarlo con le sue astruse complicazioni. Ecco perché ti ho suggerito di contattare il tuo immediato ed evidente senso di esserci, che è indubitabile e viene prima di ogni pensiero: lì ogni problema sparisce, lì sai immediatamente chi sei, lì c’è solo pace.
Almeno finché non ricominci a pensarci sopra.

D.: La differenza tra la coscienza (che chiamo ‘io’) e i pensieri mi è chiara. Mi resta solo da capire come evitare di inseguire i pensieri negativi e di perdermi in essi, rovinandomi continuamente l’umore, fino a perdere il contatto con il mio io distaccato.

Mauro: Tu continui a pensare che la soluzione ai tuoi problemi stia nel fare qualcosa (cercare di non perderti nei pensieri, ecc.), mentre io continuo a ripeterti che la soluzione sta nel vedere che non c’è alcun altro ‘io’, a parte la coscienza, la quale non ‘fa’ niente, tranne osservare tutto ciò che appare e scompare alla sua luce.

Tu dici che comprendi la differenza fra pensieri e coscienza. Tu chi sei, i pensieri o la coscienza?

I pensieri vanno e vengono. Tu vai e vieni, oppure sei sempre lì presente ad accorgerti del loro andare e venire?

Dunque, tu sei la coscienza, che c’è sempre. Ovviamente, in parte sei anche i pensieri (visto che sono fatti di coscienza), ma sei i pensieri allo stesso modo in cui sei le tue unghie: quando le tagli, tu resti, ma loro non sono più te.

Dici che quando ‘ti perdi nei pensieri’, perdi anche il contatto con tuo ‘io distaccato’ (cioè la coscienza). Ma se tu sei la coscienza, chi perderebbe il contatto con essa? Un secondo ‘io’?

Mauro Bergonzi

Fonte: https://sites.google.com/site/ilsorrisodellessere/dialoghi-1

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