Nisargadatta Maharaj: La paura della morte.

Nisargadatta e la paura della morte.

I patriarchi dello Zen insegnavano che se qualcuno non vive dentro di sé l’insegnamento che trasmette, esso diventa falso. Sri Nisargadatta ha cambiato la vita di molti di coloro che hanno ascoltato e compreso le sue parole. Ho letto i libri in cui sono stati trascritti i suoi colloqui con i visitatori, proprio perché aveva realizzato e viveva in pienezza ciò che comunicava. Un autentico realizzato dei nostri tempi, identificato con l’Assoluto nell’unità con il Tutto. Benché non fosse erudito e non conoscesse il sanscrito, i suoi insegnamenti collimano con l’essenza del Vedanta, che racchiude le più alte vette dell’Advaita, la Filosofia non dualista. Per chi desidera approfondire, Io sono Quello (edito da Ubaldini) è un testo illuminante, che conduce in un viaggio interiore alla conoscenza di Sé.
Filippo Falzoni

Interrogante: La mia morte si avvicina.
Risposta: Il tuo corpo è figlio del tempo, non tu. Tempo e spazio sono nella mente, non ti legano.

I.: Ma viene il giorno che lo spettacolo è finito. L’uomo e l’universo devono finire.
R.: Come il dormiente cade nell’oblio e si desta ad un nuovo mattino, o, morendo, si affaccia ad una nuova vita, così i mondi della paura e del desiderio si addensano e si dissolvono. Ma il testimone universale, il Sommo Sé, non dorme e non muore. Il grande cuore batte in eterno e ad ogni battito emerge un nuovo mondo.

I.: Non vi va nemmeno di vivere allora?
R.: Vivere, morire: parole vuote! Quando mi vedi vivo, sono morto. Quando mi pensi morto, sono vivo. Bella confusione.

I.: Quando un uomo muore, cosa accade esattamente?
R.: Niente. Qualcosa diventa niente. Niente era, niente resta.

I.: Spesso si muore volentieri.
R.: Solo quando l’alternativa è peggiore della morte. Ma questa disponibilità a morire promana da una fonte sana: La volontà di vivere, che è più profonda della vita stessa. Essere vivi non è la condizione ultima; c’è qualche cosa al di là, molto più esaltante, che non è né l’essere né il non essere. È uno stato di pura consapevolezza, oltre i confini dello spazio e del tempo. Quando cessi di credere di essere il tuo corpo-mente, la morte perde la sua terribilità, diventa parte della vita.

La gente teme di morire perché non sa cos’è la morte. Il sapiente è già morto e ha visto che non c’era d’avere paura. Non appena conosci il tuo essere, non temi più. La morte dà libertà e potere. Per essere nel mondo, devi morire al mondo. Allora l’universo è tuo, diventa il tuo corpo, un espressione ed uno strumento.

I.: Cosa muore alla morte?
R.: L’idea “io sono il corpo”. Il testimone non muore.

I.: Ma per l’uomo comune la morte fa differenza.
R.: Ciò che egli pensava di essere, prima della morte, continua dopo. La sua autoimmagine sopravvive.

I.: Invecchiamo. La vecchiaia non è piacevole: acciacchi, dolori, debolezza, e la fine che si approssima. Come si sente un saggio da vecchio?
R.: Più invecchia, più crescono in lui la felicità e la pace. Dopo tutto, sta tornando a casa, come un viaggiatore che, prossimo all’arrivo, raccoglie il bagaglio. Lascia il treno senza rimpianto.

I.: Non avete paura di morire?
R.: Ti racconterò come è morto il mio maestro. Dopo avere annunciato che la sua fine era prossima, smise di mangiare, senza modificare il ritmo della vita quotidiana. All’undicesimo giorno, nell’ora della preghiera – stava cantando e batteva vigorosamente le mani – all’improvviso morì – tra un battere e un levare – come una candela subito spenta. Non temo la morte perché non ho paura della vita. Vivo una vita felice e morirò una morte bella. È una disgrazia nascere, non lo è morire! Tutto dipende da come guardi.

I.: Supponiamo che vi giunga la notizia che sono morto. Come reagireste?
R.: Sarei molto felice che sei tornato a casa. Davvero contento dal saperti fuori da questo assurdo.

I.: Si ha molta paura della morte.
R.: Il realizzato non teme nulla. Ma ha compassione dell’uomo che teme. Nascere, vivere e morire, è in fin dei conti naturale. Ma avere paura, no. È giusto dare attenzione all’evento.

I.: Immaginate di essere ammalato: febbre alta, dolori, tremiti. Il medico vi dice che il vostro stato è serio e che vi restano pochi giorni di vita. Quale sarebbe la vostra prima reazione?
R.: Nessuna. Come il bastoncino di incenso si consuma, così il corpo muore. Davvero è una cosa di pochissima importanza. Quello che conta è che non sono il corpo ne’ la mente. Io sono.

I.: I vostri famigliari sarebbero disperati. Che cosa direste loro?
R.: Ciò che si dice in questi casi: non temete, la vita continua, Dio avrà cura di voi, saremo presto di nuovo insieme e cose del genere. Per me, tutta la faccenda, con lo scompiglio che comporta, è priva di senso, perché non sono l’entità che si immagina viva o morta. Non sono nato e non morirò. Non ho niente da ricordare o da dimenticare.

I.: Cosa ne pensate delle preghiere per i defunti?
R.: Prega sempre per loro. Lo gradiscono tanto. Ne sono lusingati. Il realizzato non ha bisogno delle tue preghiere. Egli è la risposta alle tue preghiere.

I.: La mia domanda, all’inizio, riguardava lo stato dell’uomo dopo la morte. Quando il corpo è dissolto che ne è della coscienza? I sensi restano o cessano? E se cessano, cosa resta della coscienza?
R.: I sensi non sono che dei modi di percezione, grossolani e sottili. Alla morte, i primi scompaiono e ne emergono altri, più sottili. Dopo la morte, la coscienza si assottiglia e si raffina. La gamma delle percezioni indotte dai sensi svanisce insieme ad essi. In certi casi la morte è la cura migliore. Una vita può essere peggiore della morte, che, solo di rado, è un’esperienza spiacevole, nonostante le apparenze. Quindi, abbi pena del vivo, mai del morto.

I.: Quando il vostro corpo morirà, resterete?
R.: Nulla muore. Si immagina che il corpo esista; in realtà non è.

I.: E la morte, libera?
R.: Chi si crede nato teme molto la morte. Per chi si conosce è un lieto evento… Per me la morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L’attaccamento alla vita è attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Piangevo quando nacqui e morirò ridendo. Dunque non hai paura della morte!

I.: Non della morte, ma di morire. Immagino che sia una esperienza dolorosa e brutta.
R.: Che ne sai? Potrebbe anche essere bella e piacevole. Quando sai che la morte tocca al corpo e non a te, ti limiti ad osservare come esso ti cada di dosso via via, come un abito smesso.

I.: So molto bene che la mia paura della morte è legata ad una inquietudine estranea alla conoscenza.
R.: Gli uomini muoiono di momento in momento, la paura e gli spasimi della morte incombono sul mondo come una spessa nuvola. Niente di strano che anche tu abbia paura. Ma quando sai che solo il corpo muore e non la continuità della memoria in cui è riflesso l”Io sono” la paura svanisce.

Tratto da: “Io sono Quello”, di Nisargadatta Maharaj

A cura di Filippo Falzoni. Le risposte del filosofo indiano a un discepolo che lo interroga sulla morte.

Fonte: https://www.karmanews.it/22632/nisargadatta-e-la-paura-della-morte/

WooshDe7Torna Su