Paul Hedderman: La prima dipendenza.

La prima dipendenza.

«Direi che la prima dipendenza è la mente, che è dipendente dall’idea di essere un sé, cioè il senso di essere un’entità duratura, separata e indipendente. L’espressione di questa dipendenza è la devozione nei confronti del sistema del pensiero. Il suo risultato è l’identificazione con il corpo.

“Nessuna-cosa” (l’Assoluto) viene all’apparenza dimenticata nel momento stesso in cui viene ricordata la “cosa-corpo”. E come viene costantemente ricordata la “cosa-corpo”? Pensandoci. Il sistema di pensiero è radicato nella sua ferma convinzione che siamo un corpo. I pensieri sono utilizzati al fine di suggerire che siamo il pensatore, oppure il pensiero riguardo il “soggetto-oggetto”.

Il sé viene ricordato attraverso il movimento nel tempo. Quando ci si pensa al passato, ci riconosciamo come un corpo, ora. I pensieri rivolti al futuro vengono usati per considerarci come un corpo, ora. L’affermazione mentale dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni viengono utilizzati per rafforzare l’idea di essere sia il pensatore, sia colui che percepisce e colui che agisce.

I miei pensieri, i miei sentimenti e le mie azioni vengono usati in modo da implicare il veggente, l’agente e l’attore. Il contatto cosciente (la percezione sensoriale): vedere, udire, assaporare, annusare e sentire, viene utilizzato in modo da implicare “colui” che è cosciente. I pensieri riguardano sempre “qualcosa” e quando si pensa a qualcosa, quel qualcosa viene distorto.

La prima dipendenza genera tutte le altre dipendenze. Tutte le altre dipendenze non sono che tentativi di fuga per ottenere un sollievo dalla prima dipendenza. Il punto fondamentale è che il problema sta nell’identificazione con un sé. Se il sé tenta di fuggire dal sé, è solo più sé. Come diciamo in AA, il sé non può uscire dal sé. Quindi l’unico modo per uscire dal sé è rendersi conto che non sei un sé.

L’alcolista e/o il tossicodipendente ha già perso la capacità di controllare il proprio consumo di alcol e/o la dipendenza. Inconsapevolmente, l’ospite è stato conquistato da un parassita (l’alcolismo). A tutti gli effetti, l’ospite viene utilizzato per procurarsi il ​​cibo che nutre il parassita.

Potresti non crederci, ma ci sono esempi in natura di come un parassita può prevalere sull’istinto più forte, cioè l’autoconservazione, dell’ospite. Esiste infatti un fungo, della famiglia dei cordyceps, che ha un unico modo per superare il suo handicap riguardo la riproduzione: il fungo produce delle spore, ma si trova in una posizione stazionaria dalla quale non può dirigere la spora dove è più probabile che essa possa crescere. Il suo grado di difficoltà è estremo, esistenziale, perché si tratta fondamentalmente della sulla possibilità di avere successo nel riprodursi. Quello che accade è che la spora prende di mira una formica, si insinua nel suo cervello e “induce” la formica a dirigersi verso il luogo in cui vuole andare il fungo. Non appena la formica arriva alla destinazione ideale del fungo, la spora uccide la formica, dopodiché un nuovo fungo cresce dalla testa della formica.

Se fossimo la formica di questa storia, centrata sul sé, costruiremmo un’intera narrazione riguardo il viaggio della spora, inconsapevoli del fatto che la spora ha preso il sopravvento su di noi. Rivendicheremmo cioè tutte le intenzioni e le azioni delle spore – che ci hanno parassitato – come nostre intenzioni e azioni».

Tratto da: “Under A-Rest, riflessioni sui dodici gradini”, di Paul Hedderman.

Fonte: https://www.zenbitchslap.com
Traduzione di: UnicaCoscienza.

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