Toni Packer: Toccare la paura.

Toccare la paura.

«Osserviamo la paura, forse il nodo più penoso nella nostra vita.

Guardare in modo diretto la paura è come guardare la collera, il dolore, l’avidità, la gelosia, il desiderio, il piacere, ciascuno singolarmente. Ciò che accomuna tutti questi stati della mente e del corpo è semplicemente quello di osservarli quando si manifestano, totalmente in coscienza, senza trattenere nulla. Essere con quello senza un capello di separazione.

Anche se il linguaggio definisce molti stati mentali e un “me” che li sperimenta, essere con ogni cosa significa semplicemente l’assenza di separazione, così che la totalità sia presente e non venga lasciato fuori nulla. La paura finisce nel risveglio, semplicemente. Non c’è bisogno di nessuna storia per dirlo.

Ci sono tante paure nelle nostre vite, consce e inconsce. Si presentano ancora e ancora, inondando tutto l’organismo e particolarmente durante la vecchiaia, quando la resistenza diminuisce. Certi dicono di non essere mai liberi dalla paura e ciò comporta che ci dovrebbe essere uno stato mentale-corporeo che ne sarebbe libero.

Ma come possiamo essere liberi dal momento che viviamo nel mondo condizionato dalla storia del “me” per tutto il tempo? Siamo programmati a credere in quel me separato in virtù di un linguaggio inesatto e per il fatto che cresciamo in un mondo dove vivono altri me, che si esprimono e si considerano, tutti, delle entità separate.

La paura e la sofferenza accompagnano inevitabilmente la separazione. Durante il corso dei millenni è stata instillata in noi attraverso traumi – che si ricordano o che si nascondono – attraverso tradizioni, insegnamenti e a seconda di come i nostri genitori sono stati allevati e ci hanno a loro volta allevati.

Imparare a temere Dio o gli dei, la punizione, la mancanza d’amore, la perdita di un parente, la malattia, la morte, la paura di ciò che faremo e di ciò che dovremmo fare gli uni con gli altri nel futuro. Avere profondamente paura di essere uccisi nelle piccole, come nelle grandi guerre.

La paura della pena e del dolore persistono nell’umanità da tempo immemorabile, come pure la paura di una tale ripetizione senza fine.

Poi vengono la paura di sbagliare, di aver fatto qualcosa di ingiusto, la paura che le cose non vadano bene nel nostro delicato organismo, che crediamo fermamente  essere nostro. Questo organismo non è nostro. Questo organismo, molto semplicemente, vive. Questo organismo si manifesta in questo mondo, vive e muore con esso. E’ così delicato, così fragile…

Proprio in questo momento un caro amico viene operato per un tumore al cervello. Un’operazione di dodici ore, svolto da una equipe chirurgica, mentre vengono effettuate, nello stesso tempo, altre centinaia o migliaia di operazioni chirurgiche. La vita di un giovane pieno di energia, di creatività e di amore rischia di spegnersi. Siamo appesi a un filo a qualsiasi età.

Se, nel momento, non ci si pensa, allora non proviamo paura. Ma poi, se sorgono pensieri riguardo un parente ammalato, o se ci immaginiamo ammalati come lui, la paura divampa.

La paura, inevitabilmente, si intreccia con la credenza in un’esistenza che ci appare separata da tutti e da tutto, nonché dalla vita come totalità.

Le ultime parole che ho detto al telefono a quell’amico, prima dell’operazione, sono state: “non posso dirti che starai bene, perché tu stai bene!”. E non erano parole di incoraggiamento. Noi stiamo bene sia quando siamo malati, sia quando siamo in buona salute, o addirittura quando siamo sul letto di morte.

Il cervello è programmato per portare ciascuno di noi a condurre una vita separata, durante la quale si deve lottare, ci si deve battere per noi stessi e per i nostri bisogni, per proteggersi. Nel momento in cui percepiamo l’esaltazione che ci deriva da un successo, inizia anche a roderci il riflesso della paura, pronta a passare all’azione. Poco importa quale sia il livello di protezione che pensiamo di avere in un bozzolo a tenuta stagna, è pur sempre un muro di protezione creato dal pensiero, che è ciò che genera la paura.

La paura si dissolve nel momento in cui il bozzolo crolla e si apre. Semplicemente non c’è nessuno qui. Nessun rifugio! La separazione è come un brutto sogno. Una volta svegli, non c’è più nessun bisogno di lottare per o contro gli altri, per il bene o il male comune. Tutto avviene secondo la sua propria e misteriosa maniera. Non abbiamo niente da fare affinché si stabilisca il gioco delle ombre. Si fa da solo!

Senza bozzolo, non c’è paura. Essa cessa e si dissolve nel momento stesso in cui si diventa liberi dal me condizionato. Immaginare un rapporto tra sé e il mondo non deriva che dal bozzolo. Il bozzolo è il mondo dei sogni e la paura è un frammento, una parte di esso. Allora, che fare? Perché è questo che si impara, no? Come fare con la paura?

La paura appare nel corpo mentale e prende il potere. Un pensiero o una memoria l’ha fatta esplodere ed essa è lì. E’ molto sgradevole. L’avete mai sentita completamente, senza parole, senza fermarvi nel mezzo?

Per molto tempo non ho veramente sentito la paura, non osando essere in contatto diretto con lei. Lei era lì, vagamente, ma non completamente sentita perché nel corpo mentale erano presenti una serie di nozioni, mai messe in discussione, che stabilivano che non doveva essere sentita: non dovrei sentire le cose sgradevoli, dovrei restare lontano da loro. Dovrei guardarmi da loro, perché sono il segno di un grave pericolo. Dovrei far crescere una pelle impenetrabile che potrebbe impedirmi di sentirle, come fa la risposta dell’organismo con un corpo estraneo.

Il corpo incapsula le materie tossiche che lo penetrano e in noi ci sono molte cose che finiscono incapsulate, sia psicologicamente che fisiologicamente. Alcune esperienze dolorose si trovano sigillate così ermeticamente che diventano inaccessibili alle sensazioni e ai sentimenti del momento presente. Quasi inaccessibili, perché in realtà sono ancora lì a covare da qualche parte. E così, si forma un postulato profondo e sotterraneo che sostiene che non devo toccare quei sentimenti orribili e terribili.

Siete andati a vedere quel pregiudizio in voi, sedendo con calma? E’ lì, in ciascuno di noi. E noi lo investighiamo ora. Guardiamo l’enorme resistenza che scatta immediatamente quando capita qualcosa di sgradevole, resistendo ai sentimenti intimi.

Non abbiamo più familiarità con le emozioni che turbano? La resistenza si manifesta come un peso sullo stomaco, il cuore, gli intestini, i muscoli. Sia quel che sia, si può sentire a fondo e non cercare di sottrarsene? Non può veramente farci nulla di male, contrariamente al rifiutare o al fuggire da ciò che è ora, esattamente così come è.

In questo momento nomino i sintomi della resistenza perché siamo insieme, ma per me stessa, nel silenzio, non ho bisogno di etichettare ciò che sento, essendo totalmente in contatto con questo momento di vita completamente indivisibile, assolutamente nuovo.

Nessuna resistenza. Nessun attaccamento a quel che capita. Non riconoscerlo utilizzando il passato, senza supporre che questo momento possa essere pericoloso, o che qualcosa debba essere evitata. Non sapere. Non sapere è la verità, noi non sappiamo. Lasciare semplicemente che le cose siano lì, pienamente sperimentate dall’inizio alla fine. Lasciatele manifestarsi da sole, non hanno bisogno del nostro aiuto, è la Vita.

Krishnamurti usava dire: “Lasciate fiorire. Lasciate fiorire la gelosia!” Qualcuno aveva replicato: “Come posso lasciar fiorire la gelosia? E’ talmente distruttiva!” “Guardatela come se fosse un gioiello nella vostra mano”, aveva risposto.

Lasciamo andare la metafora e ritorniamo all’agitazione causata dalla paura. Sentitela in modo così evidente da far sparire ogni separazione. Non c’è paura, nessuno che ne soffra, nessuno che mi faccia paura. Qualsiasi cosa succeda, è semplicemente presente, un segnale pronto a dispiegarsi e dissolversi nello spazio vuoto. Non è forse  ciò che fa ogni sentimento e ogni sensazione? Appare, si dispiega e appassisce senza lasciar traccia, tranne che non lo faccia persistere il carburante portato dal pensiero e dalla memoria.

Siamo pronti a questo? Ce ne ricorderemo la prossima volta? Ora!

L’abitudine di portare avanti ciò che è spiacevole è così grande. Non c’è bisogno di farne una montagna. Qualcosa appare, è subito autorizzato ad essere lì, per essere visto e sentito. Diamogli lo spazio per vivere. Lasciamogli dire ciò che ha da dire.

Il rumore di un aereo, il soffio di una dolce brezza sulla pelle sono lì. Gli uccelli cantano. La respirazione è lì, forse un po’ irregolare. Essendo silenziosamente con tutto ciò che c’è, la respirazione si avverte appena. Poi, poiché l’organismo ha bisogno d’aria, c’è una grande inspirazione.

Nessuna separazione. Solamente il contatto, l’investigazione, l’ascolto e lo sguardo che non sa. E tutto appare in un grande spazio, pieno d’energia e d’amore. Nell’ascolto e nella domanda, le cose diventano coerenti, comprensibili, luminose. Troppo belle per essere messe in parole.»

Toni Packer

Tratto da: 3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
Rivisitato da UnicaCoscienza.

Fonte: https://www.revue3emillenaire.com/it/toccare-la-paura-di-toni-packer/

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