Matthieu Ricard: Le menzogne dell’io.

Le menzogne dell’io.

 

Nella vita di tutti i giorni, il nostro io ci sembra del tutto reale e solido. Pur non essendo tangibile come un oggetto materiale, lo percepiamo attraverso la vulnerabilità cui ci espone costantemente: un semplice sorriso lo gratifica, un aggrottarsi di sopracciglia basta ad addolorarlo.

E’ sempre presente, pronto per essere ferito o premiato. Riluttanti a percepirlo come multiplo e inafferrabile, ne facciamo un bastione unico, centrale e permanente. Ma esaminiamo nei dettagli su cosa si basa la nostra identità.

Il nostro corpo? Un insieme di carne e ossa. La nostra coscienza? Una successione di pensieri fugaci. La nostra storia? Ricordi che non esistono più. Il nostro nome? Gli attribuiamo ogni sorta di concetti relativi alle nostre origini, alla nostra reputazione e al nostro status sociale, ma, dopo tutto, non è altro che una serie di lettere.

Se vediamo scritto il nostro nome, per esempio Giovanni, la mente ha un sussulto, pensa: Ma sono io! E’ però sufficiente separare le lettere G-I-O-V-A-N-N-I e non ci sentiamo più coinvolti. L’idea che ci facciamo del “nostro” nome non è che una costruzione mentale e l’attaccamento alla nostra discendenza e alla nostra reputazione non fa che limitare la nostra libertà interiore.

Il sentimento profondo di un io, che è il centro del nostro essere: è questo che bisogna analizzare con onestà.

Quando esploriamo il corpo, la parola e la mente, ci rendiamo conto che l’io non è che una definizione, un’etichetta, una convenzione, un segno. Il problema è che questa etichetta viene considerata assolutamente reale.

Per smascherare le menzogne dell’io, è necessaria un’indagine inflessibile. Dobbiamo fare come chi, sospettando la presenza di un ladro nella propria abitazione, ispeziona ogni stanza, ogni accesso e ogni possibile nascondiglio, finché non è sicuro che non c’è davvero nessuno e solo allora può sentirsi tranquillo.

Nel nostro caso, si tratta di una ricerca introspettiva che si propone di scoprire ciò che si nasconde dietro la chimera di quell’io che definirebbe noi stessi.

Un’analisi rigorosa ci porterà a concludere che l’io non risiede in nessuna parte del corpo. Non lo si può trovare nella testa, nel cuore o nel petto. E non è nemmeno diffuso ovunque come una sostanza che ci pervade.

Siamo soliti pensare che sia associato alla coscienza. Ma anche la coscienza è un fluire continuo: il passato è morto, il futuro non c’è ancora e il presente è inafferrabile. Come è possibile che l’io possa esistere, sospeso come un fiore nel cielo, tra qualcosa che non esiste più e qualcosa che non esiste ancora?

Non può dunque essere individuato né nel corpo né nella coscienza, che per il buddismo equivale alla mente. Inoltre, in quanto entità distinta, non lo si trova né all’interno di una combinazione di corpo e mente, né al di fuori di essi.

Nessuna analisi seria, nessun esperimento contemplativo diretto permette di giustificare il sentimento di possesso dell’io. L’io non può essere trovato nel contesto a cui è associato.

Possiamo pensare di essere alti, giovani e intelligenti, ma l’altezza, la giovinezza o l’intelligenza non sono l’io. Per il buddismo è soltanto un’etichetta con cui designare un continuum, un po’ come il nome di un fiume, Gange o Mississippi. Il continuum esiste, certo, ma in modo puramente convenzionale e fittizio. E’ totalmente privo di esistenza intrinseca, o reale.

Dal libro “Il gusto di essere felici” di Matthieu Ricard

Fonte: http://www.rebirthing-milano.it/brani-traduzioni/dal-libro-gusto-felici-matthieu-ricard-saggezza-benessere-momento-della-vita/

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